L’8 dicembre 2024 cadeva il regime di Bashar Al Assad per mano dell’ex jihadista Ahmed al-Sharaa alla guida dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham. Il presidente Assad fu costretto a fuggire da Damasco, con la famiglia, per trovare riparo a Mosca, in Russia, paese che, con l’Iran, lo aveva a lungo sostenuto militarmente.
(Foto Add Alsama)
Ahmed al-Sharaa oggi è il leader indiscusso della Siria post Assad, scalando in questi mesi il gradimento della comunità internazionale e dei Paesi del Golfo, riuscendo ad ottenere una serie di aperture, come l’allentamento graduale delle sanzioni internazionali da parte di Donald Trump, che lo ha anche accolto alla Casa Bianca il 10 novembre scorso. Dopo oltre 50 anni di dittatura e 13 di guerra civile la situazione economica è gravissima, con un Pil crollato del 70%. Il Paese è da ricostruire in tutte le sue infrastrutture. Sono milioni i siriani ancora sfollati e rifugiati all’estero che attendono di rientrare quando le condizioni di sicurezza saranno migliorate. Osservatori interessati di questo nuovo corso siriano sono i cristiani, gli alawiti e i drusi, yazidi, ismailiti e duodecimani, le minoranze presenti nel Paese, che sperano che al-Sharaa mantenga la promessa fatta subito dopo il suo insediamento quando disse che ‘saranno rispettate tutte le fedi e protette tutte le minoranze”. Un importante banco di prova per il futuro della Siria sarà a gennaio con la formazione del nuovo Parlamento. La data dell’8 dicembre è diventata una ricorrenza nazionale, Festa della Liberazione. In questo clima i cristiani si apprestano a vivere il Natale. Ne abbiamo parlato con mons. Hanna Jallouf, vicario Apostolico di Aleppo e frate della Custodia di Terra Santa.
Mons. Hanna Jallouf (Foto Chiese Orientali)
Mons. Jallouf, è trascorso un anno dalla caduta del regime di Bashar al Assad: che paese è oggi la Siria?
La Siria di oggi è un Paese che vive enormi difficoltà ma che comincia anche a vedere diverse aperture. La gente comincia a sentire di essere più libera e più sicura. Sotto il regime precedente si era soliti dire che anche i muri avevano orecchie e così nessuno parlava. Oggi le orecchie non ci sono. Ciò che intendo dire è adesso abbiamo libertà di culto, di espressione. Poi stiamo assistendo a un progressivo miglioramento del Paese anche se ancora lento. Si rivedono strade asfaltate, case e magazzini in ricostruzione e sono rientrati in Siria più di un milione e mezzo di profughi. Ma le difficoltà economiche da superare restano tantissime, la Siria è stata dilaniata da anni di regime e di guerra civile. Confidiamo per questo nell’aiuto della comunità internazionale e nell’allentamento delle sanzioni.
Per quanto riguarda la sicurezza interna com’è la situazione adesso? Ricordiamo gli scontri settari dello scorso marzo con centinaia di morti a Tartus e Latakia, governatorati popolati da alawiti, gruppo minoritario da cui proviene la famiglia al-Assad. E anche l’attentato suicida alla chiesa ortodossa di Sant’Elia nel quartiere cristiano di Dweil’a, a Damasco, del 22 giugno scorso, con almeno 30 morti e 54 feriti…
Verissimo. Questo spiega l’atteggiamento prudente dei cristiani davanti al cambiamento attuale. Noi, così come il resto della popolazione, non siamo ancora abituati a questo cambiamento così radicale avvenuto dopo lunghi anni di regime e di guerra civile.
Bisogna calarci in questo nuovo corso per poter dare anche noi cristiani il nostro contributo alla ricostruzione della Siria. Bisogna dire che libertà non vuol dire confusione. Dopo tanti anni di guerra, di lutti e di ferite ancora aperte la vendetta fa ancora sentire il suo grave peso in alcune zone della Siria. Ma io ho fiducia che le cose volgeranno al meglio.
Quando era parroco a Knaye, durante l’occupazione dell’Isis, lei non poteva andare in giro con il saio, non poteva suonare le campane, ed era stato costretto anche a rimuovere le croci sul tetto della chiesa. È ancora così o è cambiato qualcosa?
Intanto è stata rimessa la statua della Madonna nel cortile e sono state riposizionate le croci nel piazzale esterno della chiesa. Abbiamo ripreso a tenere i nostri eventi fuori della chiesa, cosa prima proibita. Il governo ha deciso di garantire la sicurezza davanti le chiese per evitare attentati e attacchi da parte di malintenzionati.
Ritorno dei cristiani a Ghassanieh (Foto da Terrasanta.net)
Fra pochi giorni sarà Natale, come sarà celebrato dai cristiani siriani?
Come dicevo poc’anzi, quest’anno potremo festeggiare il Natale con più tranquillità e libertà. Ieri, 8 dicembre, ho fatto ritorno nei villaggi cristiani dell’Oronte, Knaye, Yacobieh e Gidaideh, nella provincia di Idlib, vicino al confine turco nella Siria occidentale. A Knaye sono stato a lungo parroco e in quel periodo ho avuto modo di confrontarmi con le diverse milizie jihadiste, ribelli ad Assad, riuscendo a dialogare con i loro leader che controllavano la zona. Conobbi anche Ahmed al-Sharaa, all’epoca noto con il nome di battaglia Abu Mohammed al-Jolani. Ieri abbiamo festeggiato la Madonna insieme a tanti fedeli che sono rientrati in questo anno nelle loro case e terre. Siamo stati anche a Yacobieh. Mi piace ricordare, poi, che lo scorso novembre nel villaggio di Ghassanieh, abbiamo festeggiato il ritorno dei nostri fedeli nelle proprie case e la restituzione delle terre. Hanno partecipato rappresentanti delle altre chiese e denominazioni cristiane della zona. Ci sono stati inni, canti, sfilate, preghiere. Tutto molto bello. Anche in questa zona della Siria vediamo dei segni di rinascita cristiana. Quando ero a Knaye nella mia scuola c’erano solo 19 ragazzi, adesso sono circa 75 e quasi tutti sono cristiani. Segno che la nostra gente comincia a ritornare anche con i figli.
Sarà, dunque, un Natale di speranza?
Certamente, ma anche di impegno per far rinascere il nostro Paese. I cristiani sono stati sempre una componente importante di questa Siria e per questo devono impegnarsi per ricostruirla.
La Siria deve essere ricostruita dai siriani.
o celebrerò il Natale ad Aleppo, avremo la messa solenne, poi il ricevimento dei fedeli, delle autorità civili e militari per il tradizionale scambio di auguri e un pensiero per i più piccoli delle nostre comunità. Sono reduce dalla visita di Papa Leone XIV in Libano e il dono più grande che possiamo fare ai nostri fedeli sono le sue parole di pace per tutto il Medio Oriente. La visita in Libano porterà speranza e forza per tutti i cristiani in Siria e i Medio Oriente.
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