Da sabato 6 a lunedì 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione, il Fiuggi Palaterme ospiterà la 49ª Conferenza nazionale Animatori del Rinnovamento nello Spirito Santo, dove sono attesi centinaia di partecipanti dai Cenacoli, Gruppi e Comunità e di tutta Italia, chiamati a condividere momenti di preghiera, relazioni e Simposi che vedranno coinvolte figure di prim’ordine sui temi più significativi per la vita dell’Associazione, pronta a rinnovare il proprio “Eccomi” sotto la guida della Vergine Maria. Ne parliamo con il presidente nazionale, Giuseppe Contaldo, alla vigilia dell’appuntamento.
(Foto @Social RnS)
“‘E disse loro: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura’ (Mc 16, 15). Lo Spirito Santo infonde la forza per annunciare il Vangelo in ogni tempo e luogo” (cfr. Eg 259). Presidente, il popolo del Rinnovamento si appresta a vivere tre giornate di fede comunitaria animata da uno slancio missionario. Cosa rappresenta questa Conferenza in un’ottica di evangelizzazione?
Facendo tesoro di quanto contenuto nella Evangelii nuntiandi (“Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda”) sappiamo che l’evangelizzazione è la manifestazione della vita e della vitalità della Chiesa, quando, spinta dallo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste, è uscita dal Cenacolo. Per questa ragione, l’evangelizzazione non deve essere compresa come una delle attività pastorali della Chiesa bensì come la manifestazione della sua stessa natura e della sua missione, segno della presenza dello Spirito Santo che la anima e la guida. Per molti, questo termine consiste in primo luogo nell’andare verso le persone che si sono allontanate dalla Chiesa e dalla fede, o verso i battezzati che hanno perso la loro identità cristiana. Si tratta, tuttavia, anche di aiutare i cristiani che hanno ricevuto i sacramenti ad avere una relazione personale con Cristo: è questo lo scopo di ogni evangelizzazione e, al contempo, questo incontro con Gesù come persona è la condizione per diventare evangelizzatori. Perciò, l’evangelizzazione non potrà mai essere riassunta semplicemente in un programma o negli orientamenti pastorali. L’avvenimento che trasforma un cristiano “normale” in un cristiano missionario è proprio l’esperienza dello Spirito Santo che conduce all’incontro personale con Cristo. In questo solco si pone la Conferenza che ci apprestiamo a condividere.
(Foto Federico Maria Balestrini)
Sta per concludersi il Giubileo, caratterizzato, oltre che dal nuovo Pontificato, da eventi, catechesi, udienze e incontri che, anche a livello diocesano, hanno contribuito a scandire il cammino del Movimento e a consegnare ai responsabili e agli Animatori la “bussola” per camminare nella Chiesa come “Pellegrini di speranza”. Quale insegnamento trae il RnS alla fine di questo Anno e con quali prospettive guarda al futuro, sulla scia della conversione e dell’unità?
Anche per il Rinnovamento molte sono state le occasioni sia per sperimentare che Dio non ci abbandona mai, sia per ritrovare le ragioni profonde della speranza cristiana. “Pellegrini di speranza” non deve rimanere soltanto un ricordo legato a qualche visita ai santuari o alla partecipazione a celebrazioni comunitarie. Siamo sempre in cammino, siamo sempre pellegrini che, insieme, cercano di rispondere al desiderio di Dio che tutti gli uomini vengano salvati: questa grazia va accolta con gratitudine e va continuamente coltivata affinché non si perda a causa della nostra libertà “contaminata” dalle crisi del mondo moderno. Se davvero viviamo l’esperienza dell’amore di Dio, la nostra vita non può non essere trasformata, pur con tutte le fatiche e le continue conversioni richieste dalle scelte interiori, anche dentro le ferite della quotidianità. Cristo nostra speranza agisce con la forza e la dolcezza di un fiume che è capace di scavare anche la roccia, trasformando il deserto in un giardino. Concediamoci allora i momenti necessari alla preghiera, all’ascolto della Parola di Dio. Sono questi, di fatto, gli aspetti che hanno accompagnato il percorso del Giubileo che volge al termine.
Quale insegnamento trae il RnS alla fine di questo Anno – in cui, tra l’altro, è stata promossa anche la 47ª Convocazione nazionale giubilare in Vaticano – e con quali prospettive guarda al futuro, nel solco della conversione e dell’unità?
Ciascuno di noi ha un proprio compito nella storia di oggi, così complessa e piena di sfide. Nella famiglia, nel mondo del lavoro, nelle relazioni sociali e nella vita stessa della comunità ecclesiale, vogliamo essere protagonisti del futuro senza tirarci indietro, lasciando che la corrente di grazia possa davvero produrre tanti e buoni frutti. In particolare, ce lo richiama continuamente il magistero di Papa Leone XIV, impegniamoci a favore della pace, ancora così lontana in troppi luoghi della nostra terra. Preghiamo con fiducia, disarmiamo anzitutto i nostri cuori e non stanchiamoci di lavorare a favore della giustizia e di ciò che costruisce relazioni di fraternità, di misericordia vissuta, di perdono offerto. A tal proposito, vorrei poi ringraziare tutti i fratelli e le sorelle dei Cenacoli, Gruppi e Comunità che si sono spesi con grande coinvolgimento nelle iniziative giubilari: grazie per la vostra testimonianza, non stancatevi di annunciare Cristo, perché non prevalga il buio ma la luce della misericordia, balsamo delle sofferenze che indica nuovi cammini di bene per tutta l’umanità.
“Le sfide che l’umanità ha di fronte saranno meno spaventose, il futuro sarà meno buio, il discernimento meno difficile. Se insieme obbediremo allo Spirito Santo!”. Queste le parole usate da Leone XIV nella veglia di Pentecoste, il 7 giugno scorso, in piazza San Pietro. Parole che esprimono un chiaro mandato, anche alla luce del recente, storico viaggio apostolico del Santo Padre in Turchia e Libano, nel 1.700° anniversario del Concilio di Nicea…
La Turchia è da sempre nel cuore dei Pontefici. Paolo VI si è recato in questo Paese poco più di quattro anni dopo l’elezione al soglio di Pietro. Giovanni Paolo II ha visitato la Turchia un anno dopo essere stato eletto Pontefice. Anche per Benedetto XVI e Francesco il viaggio apostolico in Turchia non è distante dalla data della loro elezione. Guardando il passato, sembra che i Papi abbiano desiderato subito abbracciare e baciare questa terra. Nei giorni scorsi, il popolo turco ha accolto Leone XIV: il primo viaggio apostolico del suo Pontificato comincia in questa regione del mondo dove pagine indelebili di cristianesimo illuminano strade già tracciate e ancora da completare. Quelli di Leone XIV sono passi nuovi da aggiungere nello spirito del Concilio di Nicea. E i passi dei Pontefici si aggiungono a quelli dell’apostolo delle genti, San Paolo, che era un ebreo di Tarso, nell’odierna Turchia. Papa Prevost, in questo lembo di Concili, che ha avuto un ruolo primario negli albori del cristianesimo, rinnova dunque la missione di Pietro nello scorcio finale dell’Anno Santo della speranza proteso verso la luce del Natale. Quello in Turchia e in Libano è stato un vero viaggio alle sorgenti della fede, alle radici del cristianesimo. Il chiaro obiettivo è quello di promuovere la fraternità e il dialogo tra Oriente e Occidente. Nella bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit, inoltre, Papa Francesco sottolineava che il Concilio di Nicea, dove si è definito il Credo, ossia la nostra professione di fede cristiana, è “una pietra miliare nella storia della Chiesa” e rappresenta ancora oggi un invito “a tutte le Chiese e comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile”. Lo stesso Bergoglio, infine, nella visita del 26 novembre 2014, ribadiva che il “principio armonizzatore” per compiere l’unità tra i credenti è lo Spirito Santo.
Nel Documento di sintesi del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia “Lievito di pace e di speranza” leggiamo testualmente che questo percorso “intende porsi, umilmente, come strumento per recuperare nella Chiesa la concordia nelle cose essenziali, la libertà nelle cose dubbie che richiedono ulteriori riflessioni e la carità in tutte”. Il Rinnovamento nello Spirito Santo come intende concretizzare questi presupposti?
La Chiesa ha sperimentato un quadriennio sinodale segnato dal duplice e complesso dinamismo “dal basso all’alto” e “dall’alto al basso”. Questo testo finale è frutto di un processo capillare che ha coinvolto diocesi, parrocchie, associazioni e aggregazioni, in un percorso di corresponsabilità diffusa: una “mappa” che restituisce l’immagine di una comunità ecclesiale in cammino, consapevole delle sfide del presente e desiderosa di affrontarle, con il Vangelo come stella polare. “Lievito di pace e di speranza” ci invita davvero, ancora una volta, a riconoscere i carismi gli uni degli altri, per metterli al servizio della Chiesa. È un incoraggiamento che non nasce soltanto dal desiderio di coinvolgere di più, ma anche dalla volontà di riscoprire la bellezza della comunione, quella forza trasformante di una Chiesa che non respira soltanto di compartimenti stagni, ma anche di relazioni intrecciate. Non si tratta semplicemente di riconoscere ruoli pastorali, piuttosto di ascoltare la voce dello Spirito che parla attraverso ciascuno. Questa consapevolezza ci interpella, ci scomoda dalle nostre esistenze frenetiche e sempre impegnate, per invitarci a portare il nostro contributo (un po’ di tempo donato, una parola, un’esperienza, un’intuizione) e ad intrecciarlo con quello degli altri. In questa tela virtuosa, nessuno è marginale: anche il sostegno più piccolo e sottile contribuisce infatti a tenere insieme l’intero popolo di Dio, perché c’è forza non nella solitudine ma nella comunione. Lo stile sinodale, infatti, non riguarda solo i momenti assembleari o le grandi decisioni.
È lo stile di una Chiesa che intende lasciarsi guidare dallo Spirito, quello con cui vogliono vivere le realtà locali del RnS;
è lo stile con cui desideriamo ripensare la vita del nostro Movimento ecclesiale e con cui, con trasparenza, occuparci del bene comune e della nostra missione. Ci viene chiesto di passare da una visione funzionale ad una visione relazionale, dove la partecipazione non è mera divisione di compiti ma valorizzazione dei carismi. È un cammino non certo privo di fatica, che implica dedizione, ascolto, pazienza. Significa accettare i conflitti, rallentare, imparare a cedere spazio, ma è proprio in questa fatica che si manifesta la bellezza del Vangelo vissuto insieme: così attuata, la comunione non è un ideale astratto, è semmai una forza concreta che genera vita nuova. Una Chiesa così animata non costituisce allora una struttura da mantenere, ma diventa una casa che accoglie, dove le relazioni rendono visibile il volto di Dio nella storia dell’uomo.
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