Unità, pace, dialogo. Sono le parole risuonate nel primo discorso di Leone XIV in Turchia, prima tappa del suo primo viaggio apostolico internazionale, che lo porterà poi in Libano e avrà tra i momenti culminanti il pellegrinaggio di domani a Iznik, l’odierna Nicea, per il 1700° anniversario del primo Concilio ecumenico della storia della Chiesa. L’immagine presa in prestito dal Papa ad Ankara, nella Nation’s Library, di fronte al presidente Erdogan che l’ha preceduto con il suo discorso, è quella del ponte sui Dardanelli, scelto come emblema stesso del viaggio papale in una terra “legata inscindibilmente alle origini del cristianesimo”, che “richiama i figli di Abramo e l’umanità intera a una fraternità che riconosca e apprezzi le differenze”, come ha affermato Leone inizio del suo discorso, pronunciato in inglese e terminato con un appello a non cedere alla logica della “terza guerra mondiale a pezzi”, stigmatizzata dal suo predecessore: “ne va del futuro dell’umanità”.
“Il nostro mondo ha alle spalle secoli di conflitti e attorno a noi esso è ancora destabilizzato da ambizioni e decisioni che calpestano la giustizia e la pace”,
l’analisi del Papa: “Voi avete un posto importante nel presente e nel futuro del Mediterraneo e del mondo intero, anzitutto valorizzando le vostre interne diversità”, il riferimento all’immagine del ponte, che prima di collegare Asia ed Europa, Oriente e Occidente lega la Turchia a se stessa, rendendola “un crocevia di sensibilità, che omologare rappresenterebbe un impoverimento”.
“Una società è viva se è plurale: sono i ponti fra le sue diverse anime a renderla una società civile”,
la tesi del Pontefice: oggi, invece, “le comunità umane sono sempre più polarizzate e lacerate da posizioni estreme, che le frantumano”.
“All’unità del vostro Paese intendono contribuire positivamente anche i cristiani, che sono e si sentono parte dell’identità turca”, ha assicurato Leone evocando le parole di San Giovanni XXIII, il “Papa turco” legato da profonda amicizia verso questo popolo, nel periodo in cui fu Amministratore del Vicariato Latino di Istanbul e Delegato Apostolico in Turchia e Grecia dal 1935 al 1945. Dal cuore del Mediterraneo, sulla scorta del suo predecessore, Papa Prevost ha rilanciato la “cultura dell’incontro”, che comporta la capacità di opporsi alla “globalizzazione dell’indifferenza”, imparando a “sentire il dolore altrui, ascoltare il grido dei poveri e della terra”.
“In una società come quella turca, dove la religione ha un ruolo visibile, è fondamentale onorare la dignità e la libertà di tutti i figli di Dio: uomini e donne, connazionali e stranieri, poveri e ricchi”, l’invito: “tutti siamo figli di Dio e questo ha conseguenze personali, sociali e politiche”.
Perché il “grande ponte” sullo stretto dei Dardanelli è analogo a quello che Dio, rivelandosi, ha stabilito fra cielo e terra: “È un ponte sospeso, grandioso, che quasi sfida le leggi della fisica: così è l’amore, che, oltre alla dimensione intima e privata, ha anche quella visibile e pubblica”. “Chi ha un cuore docile al volere di Dio promuoverà sempre il bene comune e il rispetto per tutti”, l’equazione del Papa: “Oggi questa è una grande sfida, che deve
rimodellare le politiche locali e le relazioni internazionali, specialmente davanti a un’evoluzione tecnologica che potrebbe accentuare le ingiustizie, invece di contribuire a dissolverle. Persino le intelligenze artificiali, infatti, riproducono le nostre preferenze e accelerano i processi che non sono le macchine, ma è l’umanità ad avere intrapreso”.
Di qui la necessità di lavorare insieme “per modificare la traiettoria dello sviluppo e per riparare i danni già inferti all’unità della famiglia umana”.
“Chi disprezza i legami fondamentali e non impara a sostenerne persino i limiti e le fragilità, più facilmente diventa intollerante e incapace di interagire con un mondo complesso”,
il grido d’allarme di Leone, che ha chiesto di stabilire un collegamento – ancora una volta un ponte – “fra i destini di tutti e l’esperienza di ciascuno”, a partire dalla famiglia, che nella cultura ha una grande importanza.
“Non è da una cultura individualistica, né dal disprezzo del matrimonio e della fecondità, che le persone possono ottenere maggiori opportunità di vita e di felicità”, ha assicurato il Pontefice: “A questo inganno delle economie consumistiche, in cui le solitudini diventano business, è bene rispondere con una cultura che apprezza gli affetti e i legami”,
la proposta del Papa, unita ad un tributo al ruolo delle donne e alle iniziative mosse dal governo turco a sostegno della famiglia.
“Possa la Türkiye essere un fattore di stabilità e di avvicinamento fra i popoli, a servizio di una pace giusta e duratura”,
l’auspicio finale, forte delle “buone relazioni” tra la Santa Sede e la Turchia, testimoniata dalla visita di quatto papi nel Paese ponte tra Est e Ovest, Asia ed Europa, “crocevia di culture e religioni”.
“Oggi più che mai c’è bisogno di personalità che favoriscano il dialogo e lo pratichino con ferma volontà e paziente tenacia”,
l’appello: “Dopo la stagione della costruzione delle grandi organizzazioni internazionali, seguita alle tragedie delle due guerre mondiali, stiamo attraversando una fase fortemente conflittuale a livello globale, in cui prevalgono strategie di potere economico e militare, alimentando quella che Papa Francesco chiamava terza guerra mondiale a pezzi”, l’analisi geopolitica.
“Non bisogna cedere in alcun modo a questa deriva! Ne va del futuro dell’umanità”,
il monito. L’antidoto a questa “dinamica distruttiva” consiste nell’affrontare quelle che Leone ha definito “le vere sfide che la famiglia umana oggi dovrebbe affrontare unita, cioè la pace, la lotta contro la fame e la miseria, per la salute e l’educazione e per la salvaguardia del creato”.
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