In Italia la violenza di genere continua a rappresentare un’emergenza sociale. Secondo i dati Istat, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Nei primi due trimestri del 2024 oltre la metà delle vittime che hanno chiamato il numero 1522 aveva figli, e più di 5.600 minori sono stati coinvolti direttamente o indirettamente in episodi di violenza. Numeri che raccontano un fenomeno dalle molte sfaccettature, con conseguenze pesanti anche per i bambini, spesso vittime di violenza assistita.
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che ricorre il 25 novembre, l’Istituto buddista italiano Soka Gakkai presenta i progetti sostenuti grazie ai fondi dell’8×1000, per un investimento complessivo di oltre un milione di euro. Obiettivo: costruire un ecosistema integrato che vada dal primo ascolto alla protezione immediata, fino al reinserimento sociale e lavorativo. Questi progetti, sottolinea Anna Conti, vicepresidente del Soka Gakka,
“non si limitano alla protezione immediata, ma costruiscono percorsi di autonomia reale”.
“Nel 2025 – aggiunge – abbiamo attivato quattro nuovi progetti che supporteranno circa 700 persone”.
Casa rifugio a Padova. A Padova la cooperativa sociale Gruppo R ha avviato “Violenza stop. Nuove strade da percorrere”, che si articola in tre azioni: apertura di una nuova casa rifugio, accompagnamento al reinserimento socio-lavorativo e supporto psicologico per i minori. La struttura, Casa Lydia, accoglie donne vittime di violenza insieme ai loro figli, offrendo percorsi personalizzati di recupero e inclusione. “I fondi 8×1000 ci hanno permesso di aprire la nostra quarta accoglienza protetta: Casa Lydia, un luogo che già da ottobre sta accogliendo donne con i loro figli e figlie”, racconta Mariasole Rizzi, referente delle Case rifugio. “Le loro storie e i loro sogni ci ricordano che
sopravvivere ai maltrattamenti non solo è possibile, ma può diventare l’inizio di una rinascita”.
“Figure antenna”. Molte donne non arrivano mai ai Centri antiviolenza: meno del 5% denuncia la violenza subita. Per intercettare il bisogno nasce “Ahimsa: Dall’ombra alla luce”, promosso dall’Associazione Cante di Montevecchio. Il progetto forma “figure antenna”, persone capaci di cogliere segnali di disagio e offrire un primo ascolto sicuro in contesti quotidiani come scuole, farmacie, palestre, negozi di quartiere, sindacati e servizi sanitari.
“Grazie ad Ahimsa stiamo svolgendo un importante lavoro di comunità”,
spiega Pier Paolo Inserra, coordinatore del progetto. “A Torino formiamo figure antenne tra volontari e insegnanti; a Pesaro rafforziamo la rete antiviolenza con laboratori narrativi; a Catanzaro coinvolgiamo giovani universitari che diventano punti di riferimento per le coetanee in difficoltà”.
A Pescara un’équipe di emergenza h24. La rapidità dell’intervento può fare la differenza tra la vita e la morte. Con questa consapevolezza l’associazione Ananke Ets ha avviato a Pescara il progetto “Implementazione centro antiviolenza Ananke”. È nata così un’équipe di emergenza specializzata, operativa h24, composta da operatrici, legali e psicologhe, che accompagna le donne nei primi passi di allontanamento dalla violenza. Parallelamente è stato attivato uno “Sportello autonomia” con percorsi di orientamento al lavoro, tirocini e accompagnamento psicologico, oltre all’ampliamento degli orari del Centro e alla creazione di gruppi di supporto. “Questo sostegno – spiega Anna Teresa Murolo, responsabile del Centro – è prezioso perché permette di
trasformare i bisogni in opportunità concrete di autonomia e libertà”.
La vita “dopo”: il progetto Safety Net in Piemonte. Se a Pescara l’intervento immediato è la priorità, in Piemonte l’attenzione si concentra sul “dopo”. Arci Valle Susa-Pinerolo Aps, attraverso il “Centro donna” ha avviato il progetto “Safety Net: insieme contro la violenza di genere”. L’iniziativa affronta la fragilità delle vittime che, dopo aver lasciato situazioni violente, si trovano spesso isolate e prive di reti di sostegno. Il progetto prevede l’apertura di nuovi sportelli territoriali, il potenziamento dei programmi di reinserimento lavorativo, la creazione di gruppi di condivisione e sostegno alla genitorialità e l’ampliamento dell’assistenza legale gratuita, includendo consulenze su sovraindebitamento e difficoltà economiche. “A breve – annuncia Sonia Però, referente del Centro – apriremo un nuovo sportello in un territorio privo di centro antiviolenza, mentre
i tirocini formativi e i cerchi di mamme diventeranno luoghi di ascolto e alleanze femminili”.
Un sistema ancora insufficiente. Nonostante questi importanti passi avanti, la rete nazionale di protezione resta fragile. Una ricerca dell’Università Sapienza di Roma ha evidenziato che in 111 aree ad alto rischio di femminicidio non esiste nemmeno un Centro antiviolenza. Occorre quindi intensificare gli interventi agendo su più livelli – strutturale, territoriale e di accompagnamento – per ridurre la violenza sommersa e garantire percorsi di autonomia e dignità alle donne e ai loro figli.
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