Bajani vince lo Strega 2025: la famiglia tra violenza silente e memoria rimossa

Scritto il 04/07/2025
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Certo, i voti ottenuti nel percorso di avvicinamento a Villa Giulia ormai parlavano chiaro: “L’anniversario” (Feltrinelli) era avviato alla conquista del premio Strega 2025, e la cerimonia, condotta garbatamente da Pino Strabioli al ninfeo del museo etrusco lo ha confermato. La storia narrata da Andrea Bajani ha dunque avuto la meglio su altri racconti che però condividono la dimensione familiare, come “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” (Terrarossa) di Michele Ruol (al quarto posto), racconto di una perdita indicibile, quella dei due figli, e il tentativo di recuperare un senso anche attraverso l’aiuto degli oggetti e del loro emanare emozioni e memorie, o “Quello che so di te” (Guanda) di Nadia Terranova, terza classificata, che riscopre la memoria di una bisnonna giudicata folle dalla medicina dell’epoca e internata in un manicomio. Il fatto che anche “Perduto è questo mare” (Rizzoli) di Elisabetta Rasy, seconda classificata, abbia il centro focale della narrazione in una figura paterna riportata alla luce nella sua ombrosa complessità da un altro personaggio reale come lo scrittore Raffaele La Capria, la dice lunga sulla visione dell’universo-libro nello svolgersi delle selezioni del più importante premio letterario del Belpaese:

la famiglia è il vecchio e nuovo mondo narrato, lo è soprattutto nelle sue contraddizioni e, specie nel romanzo di Bajani, in una sorda violenza fatta non di atti d’ostilità fisici, ma di una soffocante e silente tirannia paterna che coinvolge in una rassegnata complicità una madre sottoposta volontariamente a questa straziante, arcaica – ma anche attualissima – egemonia patriarcale.

Oltre la famiglia, il che non vuol dire fuori, perché ogni esperienza, anche quella della creazione letteraria, attinge nel bene e nel male alle radici familiari, ecco che, in “Chiudo la porta e urlo” (Mondadori) Paolo Nori ci porta alle soglie di un altro continente nascosto dai fumi della contrapposizione (falsa) tra realtà e sogno, vita e letteratura, quello della poesia, e che poesia, visto che si tratta anche (ma non solo, vista la strategia autoriale di una continua mescolanza tra autobiografia e vite altrui) di quella di Raffaello Baldini, una delle voci più autentiche del Novecento poetico anche se ingiustamente rimosso dalla memoria mainstream, e perché poeta, e perché in dialetto, figuriamoci. Anche se lui stesso ha tradotto le sue poesie in italiano.

E leggendo “Chiudo la porta e urlo” si capisce come invece la poesia sia parte integrante della vita, rappresenti un leggere le cose e gli eventi con occhi nuovi e antichi insieme, cogliendo attimi che senza di essa rimarrebbero prigionieri della fretta e di un materialismo edonistico.

E così, dopo le inevitabili polemiche con il governo – questa volta il ministro Giuli, assente, che ha dichiarato di non aver ricevuto i libri – la constatazione terminale è che la famiglia torna ad essere centro di una narrazione che ne riporta le contraddizioni, le aspettative e il lutto demolitorio, le figure rimosse e che pure hanno contribuito a fare il presente. Ed è una bella novità sempreverde che rompe con l’attuale ma declinante egemonia dell’indagine del commissario – o chi per lui – di turno nelle pagine non solo dei premi, ma nelle librerie e nelle classifiche. E riporta l’essenza del mondo anche nelle librerie.

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