Il Natale rischia di essere ridotto a un insieme di gesti consueti e simboli decorativi, come il presepe e l’albero natalizio. Padre Francesco Patton, già Custode di Terra Santa, invita a riscoprire la forza del presepe. A otto secoli dall’intuizione di san Francesco a Greccio, il presepe resta una scuola di umiltà e un invito a contemplare il mistero dell’Incarnazione. Scoprire il significato profondo di ogni personaggio del presepe, spiega Patton, aiuta a vivere questa tradizione che può ancora parlare al cuore di tutti — credenti, cercatori di senso, famiglie in difficoltà, pellegrini di ogni provenienza. Un dialogo che restituisce al Natale il suo centro: l’accoglienza di un Dio che si fa uomo.
Padre Francesco Patton (Foto Custodia)
Padre Patton, qual è il senso e il significato del presepe oggi?
Credo che il senso e il significato del presepe oggi sia lo stesso che aveva otto secoli fa quando San Francesco a Greccio ebbe l’intuizione di rappresentare la scena della natività. Francesco voleva vedere con gli occhi i disagi e l’umiltà che il figlio di Dio aveva scelto per condividere la nostra vita. E voleva anche vedere un’altra cosa.
Quale?
Voleva creare una specie di parallelismo tra quello che era il messaggio del presepe, il messaggio dell’incarnazione, e il modo con cui Gesù continua ad essere presente e accompagnarci fino alla fine del mondo attraverso l’Eucarestia. Celebrando il Natale a Greccio Francesco ha voluto sia ricreare l’ambiente di Betlemme con la mangiatoia, perché presepe vuol dire mangiatoia, sia celebrare l’Eucarestia. Tommaso da Celano, che è il primo a raccontare il Natale di Greccio, scrive che Francesco aveva chiesto un permesso speciale al Papa per poter celebrare l’Eucarestia non in una chiesa, ma in quella grotta su un altare collocato accanto alla mangiatoia. Oggi, quando facciamo il presepe, dobbiamo contemplare l’umiltà di Dio e fare come faceva san Francesco che, quando nominava Gesù, si passava la lingua sulle labbra per assaporare la dolcezza del suo nome, e pensare che quel bambino è il figlio di Dio e non dobbiamo avere paura di lui e accoglierlo nella nostra vita.
Tuttavia, oggi sembra che il presepe sia confinato all’interno di tradizioni natalizie più o meno sentite. Insomma, tanti fanno il presepe in casa senza riflettere sul suo reale significato…
Io spero tanto che chi, in questi giorni, si appresta a fare il presepe pensi anche ai personaggi che mette sulla scena. Ricordo una mia compagna di classe, catechista, che ebbe l’intuizione pedagogica tipica delle mamme, di creare un presepe in casa facendo collocare ai figli ancora piccoli, ogni giorno del tempo di Avvento, un personaggio diverso raccontandone la storia fino ad arrivare alla notte di Natale quando veniva posto il Bambino nella mangiatoia. Ecco, bisognerebbe fare il presepe in questo modo, non farlo sempre semplicemente con la fretta di mettere le statuine ma farlo riflettendo sui singoli personaggi.
Greccio (Crediti Visitgreccio.com)
Davanti agli occhi abbiamo tanti personaggi del presepe, a partire dai pastori, proposti dalla tradizione. Ma se dovessimo pensare a figure più, diciamo così, attuali, chi potremmo mettere nel presepe oggi?
Per me che vivo in Terra Santa, per esempio, vedrei molto bene i fedeli locali, quindi i nostri cristiani di Terra Santa. I fedeli locali per me sono i semplici pastori che vanno alla grotta così come i pellegrini, che vengono da lontano, potrebbero essere i Magi. Questi ultimi, infatti, di solito vengono raffigurati come uno europeo, uno asiatico, uno africano, a rappresentare tutta l’umanità, e descritti come uno giovane, uno adulto e uno anziano, a indicare tutte le età della vita. Accanto alla mangiatoia c’è posto per tutti, senza distinzioni, e non bisogna prenotare il posto né pagare il biglietto. C’è posto per chi crede e per chi non crede, per chi è alla ricerca, per chi vorrebbe credere ma fa fatica, per chi ha bisogno di speranza. Anche Maria, Giuseppe e il bambino, in realtà così come sono raccontati dal Natale, sono dei personaggi nei quali tante persone oggi possono identificarsi. Penso, per esempio, ad una famiglia giovane che ha appena avuto il primo figlio o che è in attesa, una famiglia di profughi o di rifugiati in fuga da guerre, carestie, povertà. Non bisogna pensare ai personaggi del presepe solo in senso storico ma come persone viventi.
La tendenza attuale sembrerebbe preferire l’albero natalizio al presepe. Cosa direbbe ad un bambino per invogliarlo, per convincerlo a fare anche il presepe?
Credo che dovremmo convincere più i genitori che i loro bambini. I genitori dovrebbero riscoprire il valore del raccontare il Vangelo ai loro figli per trasmettere un po’ di fede e anche per trasmettere, direi, una scintilla di quella Narrazione che poi è la storia di chi ha dato senso alla nostra vita.
Foto Calvarese/SIR
Ma è bene anche ricordare che la tradizione dell’albero natalizio ha radici cristiane sviluppatesi nel Medioevo. Nacque inizialmente non come abete ma come un albero spoglio al quale venivano attaccate delle mele. Era il capovolgimento del racconto del peccato originale. L’albero di Natale ci ricorda che l’albero della vita maturava i suoi frutti, per noi, nel momento in cui il figlio di Dio si faceva figlio dell’uomo. Veniva al mondo uno che della volontà del padre avrebbe fatto il suo cibo e che e quella volontà avrebbe realizzato fino in fondo, dare la vita per salvare noi. Le sfere colorate che si appendono all’albero, di per sé sono simbolo di questa mela, non più frutto che scatena il peccato, il male e la morte, ma frutto che germoglia perché è nato colui che è la vita e colui che ci dona la vita. Dovremmo riscoprire il senso cristiano anche dell’albero di Natale.
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