I fedeli della diocesi di San Bernardino in California, non riempiranno i banchi delle chiese, domenica prossima e lo faranno con la benedizione del loro vescovo. Monsignor Alberto Rojas ha firmato, giovedì, un decreto senza precedenti che esenta i cattolici della diocesi dall’obbligo di partecipare alla Messa domenicale e nei giorni festivi. Il motivo? La paura, palpabile e legittima, di “potenziali azioni di contrasto all’immigrazione da parte delle autorità civili” che potrebbero entrare in azione ed essere applicate proprio in occasione delle celebrazioni liturgiche domenicali. Nel prendere questa misura straordinaria la diocesi San Bernardino, che conta 1,6 milioni di cattolici, si unisce così alla diocesi di Nashville, nel Tennessee, che ha anch’essa messo in atto una misura straordinaria, solitamente riservata a pandemie e catastrofi.
Il decreto di Rojas non arriva dal nulla. Solo due settimane fa, infatti, agenti federali hanno prelevato migranti direttamente da proprietà della Chiesa cattolica in due parrocchie della sua diocesi, a circa 96 chilometri a est di Los Angeles. Azioni che calpestano norme fondanti del Paese, dove la pratica religiosa non dovrebbe mai essere ostacolata da nessuno. “Le autorità – scriveva Rojas il 23 giugno scorso – stanno ora sequestrando fratelli e sorelle in modo indiscriminato, senza rispetto per il loro diritto a un giusto processo e la loro dignità di figli di Dio”. Parole pesanti, che denunciano la deriva autoritaria del Paese.
Si stenta a riconoscere in quest’America la culla del diritto e della democrazia se il diritto a praticare la propria fede, riconosciuto e tutelato dalla Costituzione, è stato cancellato dal terrore delle retate. Nelle ultime settimane le chiese, luoghi di rifugio e di sicurezza, sono diventati sempre più frequente il bersaglio di agenti federali. Gli arresti senza prove o i controlli dell’identità e dei documenti hanno fatto alzare la voce di molti vescovi, anche quelli più timidi, tanto da indurli a decidere di scavalcare il recinto della riservatezza per buttarsi nella mischia.
E così l’Arcivescovo José Gomez dell’Arcidiocesi di Los Angeles, a proposito della politica delle deportazioni decisa e applicata dal presidente americano Donald Trump, ha chiarito che “questa non è politica, è punizione, e può solo portare a risultati crudeli e arbitrari”, La critica di Gomez, egli stesso immigrato messicano e da tempo sostenitore della riforma dell’immigrazione, è diventata sempre più dura, man mano che le operazioni di prelievo dei migranti si sono intensificate e diversificate.
Padre Brendan Busse, gesuita e parroco della Dolores Mission Church di Boyle Heights, ha raccontato al Catholic Reporter che mezzi e veicoli dell’ICE (l’agenzia per l’immigrazione) hanno dapprima speronato un’auto, poi, dopo aver prelevato a forza un uomo tirandolo fuori dall’abitacolo, hanno abbandonato moglie e figli piccoli lasciandoli a bordo. Nel suo commento, padre Busse sottolinea che la sua comunità si sente braccata e circondata da “uomini mascherati che vanno in giro a rapire le persone”. La campagna di espulsioni attuata del presidente sta avendo un impatto devastante sulla partecipazione alla Messa, ma non solo. I venditori ambulanti restano a casa, i ristoranti di immigrati chiudono, le famiglie sono nervose all’idea di andare al supermercato o di portare i figli ai campi estivi o alle visite mediche. Un tempo difficile, simile a quello, sottolinea padre Busse, di una “seconda pandemia”. Eppure, malgrado questo clima di paura, non mancano piccoli gesti di solidarietà che sanno fare e fanno la differenza. I membri della comunità ebraica Nefesh di Los Angeles, ad esempio, si sono offerti volontari per sorvegliare l’esterno della Mission e consentire ai fedeli di entrare e celebrare la Messa senza timori di essere prelevati dagli agenti dell’immigrazione. Un modo, a detta loro, di mettere in atto la “Costituzione e la fraternità”, valori messi in dubbio da questa “caccia all’immigrato”.
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