Natale a Torpignattara: la parrocchia come tenda di Dio tra culture e fedi diverse

Scritto il 20/12/2025
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Torpignattara, un quartiere periferico della Capitale, tra la Tuscolana e la Casilina, dove convivono da decenni cittadini italiani e stranieri di diverse culture e religioni. Qui il Natale diventa occasione di incontro e dialogo. La parrocchia di San Giuseppe Cafasso, affidata ai Missionari Scalabriniani, si prepara alla festa con un itinerario che non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma si apre a tutta la comunità per vivere insieme il senso profondo della festa.

“La fede è fatta di due cose: occhi che sanno vedere i segni di Dio e mani operose come quelle del contadino che aspetta il frutto della terra”, confida al Sir il parroco, padre Gaetano Saracino; il Natale è “ad un tempo ricerca dei segni di Salvezza da parte di Dio e insieme un insieme di gesti concreti da parte nostra per non sprecarli”.

La comunità parrocchiale di San Giuseppe Cafasso si è data degli strumenti per prepararsi al Natale: un itinerario formativo e varie opportunità di incontro e condivisione. “Non apparati esteriori”, ma attività che coinvolgono il quartiere: la Festa di Natale in oratorio, pensata anche per il 64% degli alunni di altre etnie e religioni presenti nelle scuole del territorio; il concerto di Natale come momento di condivisione, “non solo per evocare atmosfere, ma per accogliere chi vive accanto, chi è arrivato da lontano”.

Natale, quindi, “non come una parentesi dell’anno, ma come strumento per praticare il dialogo”. Questo in un quartiere, come tanti, con annosi problemi.

Foto Parrocchia San Giuseppe Cafasso

La comunità parrocchiale di San Giuseppe Cafasso vive in un contesto multietnico, multiculturale e multireligioso, ci sottolinea il parroco: “Varie vicissitudini hanno dato origine a questa conformazione in continua evoluzione. Per dove si trova e per come è fatta, la parrocchia sembra essere una vera e propria tenda di Dio in mezzo agli uomini”.

P. Gaetano è parroco da due anni e ci dice che la dimensione del “dialogo” è stato “il paradigma con cui abbiamo iniziato a condurre la nostra azione pastorale: apertura, uscita e accoglienza, confronto, profezia per scoprire da subito un territorio” di “credenti” che “un certo cliché migratorio, politicizzato e strumentalizzato, troppe volte ha finito per rinchiudere in categorie assolutizzanti, come quella socioeconomica o sociologica. Fuorvianti. Lo abbiamo scoperto visitando il quartiere e le famiglie, soffermandoci nei luoghi di ritrovo: templi indù o associazioni culturali in cui si pratica la preghiera (moschee non censite). E questi sono il numero più grande degli uomini e delle donne che abitano questo territorio”.

Cosa fa la parrocchia per il loro inserimento? “Siamo convinti – risponde il parroco – che la risposta ai nostri appelli è uno sforzo da parte loro, prima ancora che un impegno da parte della parrocchia a fare qualcosa per loro. L’apertura, per favorire l’uscita dai propri schemi, ma anche per superare dinamiche autoreferenziali o conservative della comunità autoctona, sta inevitabilmente producendo ingressi fisici e mentali di un’alterità che è un vero e proprio segno con cui Dio ci sta chiedendo oggi di accogliere e vivere il Vangelo. Oltre un ‘noi e loro’, c’è ‘un noi più grande’”.

Le iniziative, assolutamente fattibili anche da parte di chi non crede, come il doposcuola, gli screening medici, l’amicizia e la frequentazione reciproca, e la messa a disposizione degli spazi, non sono solo gesti generosi e di buona volontà. Anche attraverso la condivisione di iniziative e forme di ascolto, diventano profezia e annuncio, perché ampliano lo spazio per Dio nelle vite di tutti e suscitano la domanda in coloro che ne sono raggiunti: “Ma chi ce lo fa fare?”. Il Vangelo. Non perché lo impone, ma perché chi lo pratica scopre l’intelligenza della condivisione e dell’accettazione dell’alterità.

E tira fuori un certo coraggio per una convivenza un po’ più virtuosa e meno estemporanea. “Ci proviamo perché così funziona l’Amore”.

Tutto questo coinvolge l’intera comunità parrocchiale, come ci racconta Armando Stridacchio, che collabora attivamente alle iniziative della parrocchia: “Per noi il multiculturale non è una novità, ma una presenza viva. Come comunità parrocchiale, con persone che provengono da diversi paesi del mondo, ci prepariamo al Natale con cuore aperto e con lo spirito di accoglienza che distingue noi cristiani. La festa che celebriamo è un evento di grazia, perché per noi significa che Dio si fa vicino venendo in mezzo a noi senza distinzione di lingua, cultura o provenienza. Ci stiamo preparando – aggiunge – vivendo nel rispetto reciproco come segno concreto del Vangelo e nella condivisione come gesto di fraternità. Il nostro cammino verso il Natale sarà fatto di piccoli gesti quotidiani: ascoltare chi è diverso da noi, valorizzare le tradizioni di ciascuno, costruire ponti di dialogo e di solidarietà”.

“Per noi – aggiunge – ormai abituati a questo multiculturalismo, la diversità rappresenta un dono che è cultura di dialogo. L’invito che noi facciamo a tutte le persone della nostra parrocchia è di sentirsi parte di questa famiglia di famiglie, dove la gioia del Natale non è solo un ricordo, ma una speranza viva che ci unisce e ci spinge a prenderci cura gli uni degli altri”.

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