Leggi le letture del giorno e il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Prima Lettura
Salmo Responsoriale
Seconda Lettura
Vangelo
Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Memoria di san Giovanni XXIII (†1963), papa, e dell’apertura del Concilio Vaticano II (1962-1965).
Is 25,6-10a; Sal 23(22); Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14
questa domenica cade nell’anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, scelto anche come giorno della festa di san Giovanni XXIII. Quel giorno, migliaia di vescovi provenienti dal mondo intero si ritrovarono a Roma per questo straordinario evento che avrebbe cambiato la vita sia della Chiesa che del mondo. Attraverso quei vescovi il mondo intero si ritrovava per obbedire al comando di Gesù di comunicare il vangelo a tutti i popoli sino ai confini della terra. C’era un’ansia di universalità e di unità che san Giovanni XXIII colse e comunicò a quei pastori che per la prima volta si ritrovavano così numerosi. Potremmo dire che in certo modo con il Concilio diventava visibile il sogno che il profeta Isaia aveva espresso con l’immagine del monte santo ove il Signore degli eserciti aveva preparato un banchetto di “grasse vivande” per tutti i popoli. Il profeta non aveva cessato di comunicarlo come a voler spingere i passi degli uomini verso quel monte santo. Scrive ancora il profeta: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te” (Is 60,3-4). Nell’11 ottobre del 1962 queste parole del profeta sembravano descrivere alla lettera quanto accadeva nella Basilica di san Pietro. In quell’innumerevole schiera di vescovi che si avviavano verso la Basilica prendeva corpo un sogno iscritto nel profondo dei cuori degli uomini e delle donne di ogni generazione, di ogni luogo, di ogni fede.
La pagina del profeta sembra suggerisce che questo sogno che Dio non cessa di comunicare e che dal Concilio è stato riproposto con vigore, non è astratto e impossibile. Il profeta afferma che il banchetto è già preparato; e il Signore stesso lo ha imbandito per gli uomini. E’ a dire che la vita, la pace, la fraternità tra tutti è il Signore stesso che le dona ai popoli. Non sono perciò realtà così lontane da disperare di averle, o così alte e irraggiungibili da cadere nello sconforto. E neppure così ardue da rassegnarsi quando le vediamo ferite e quasi colpite a morte. La pace e l’unità tra tutti sono alla nostra portata, sono possibili per chi le desidera e le persegue. Il vero problema sta nel rifiuto di accogliere l’invito e di avviarsi verso quel monte per prendere parte al banchetto dell’unità e della pace. Quando si preferiscono i propri affari, quando si perseguono solo i propri interessi, quando si è sordi al grido dei poveri e dei deboli, è facile non ascoltare l’invito che ci viene rivolto, è facile disprezzare i doni che il Signore ci presenta. La difesa di se stessi ad ogni costo e a qualunque prezzo, ci rende sordi all’invito di Dio e ci priva del dono della pace e della fraternità. Ed è vero per sia per se stessi che per i popoli.
La parabola evangelica lo spiega con ancor più chiarezza. Gesù afferma che il regno dei cieli, ossia il mondo di Dio, è come quello ove un re che, dopo aver preparato un banchetto di nozze per il figlio, invia i suoi servi per chiamare gli invitati. Questi, ascoltano i servi, ma rifiutano l’invito a recarsi al banchetto. Di fronte a tale rifiuto, il re non si arrende, insiste e manda di nuovo altri servi a rinnovare l’invito: “tutto è pronto, venite alle nozze!”. E’ l’insistenza del Signore che chiama ancora altri servi. L’apostolo Paolo, forse pensava a questa parabola, scrivendo a Timoteo: “annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta a ogni magnanimità e dottrina”(2Tm 4,2). Il Signore non si stanca di invitare al suo banchetto della pace e della fraternità. Purtroppo però ancora anche questa volta quegli invitati “non se ne curarono – dell’invito ricevuto - e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”. Alcuni – aggiunge Gesù – “presero quei servi, li insultarono e li uccisero”. È quanto accade ogniqualvolta il Vangelo non viene ascoltato e allontanato dalla nostra vita. Il re, sdegnato, fa punire gli assassini. In verità sono essi stessi a punirsi, ossia ad escludersi dal banchetto della vita e della pace, cadendo in una vita di amara solitudine.
Ma il re non dimette il suo sconfinato desiderio di raccogliere gli uomini, non abbandona il suo sogno. E per la terza volta manda altri servi con l’ordine di rivolgersi a tutti coloro che avrebbero incontrato nelle strade e nelle piazze, senza alcuna distinzione. Questa volta l’invito è raccolto e la sala si riempie di commensali, “buoni e cattivi”. Sembra quasi che a Dio non interessi come siano gli invitati; quel che vuole è che il banchetto sia frequentato, che la sala sia piena. E in effetti si riempie. Ci sono tutti. Anzi, a sentire altre pagine del Vangelo, si direbbe che furono i poveri e i peccatori a riempire quella sala. Certo, conta avere la “veste nuziale”. Sappiamo che in Oriente l’ospite, chiunque fosse, veniva accolto con ogni onore: appena giunto in casa veniva lavato e vestito e poi introdotto nella sala per il pranzo. Chi si sottraeva a questa usanza mostrava di non accettare l’ospitalità come a voler rivendicare il diritto di entrare, quasi fosse padrone. La veste nuziale è l’amore di Dio che viene riversato su di noi sino a coprire tutte le nostre colpe, tutte le nostre debolezze. La veste nuziale è lasciarsi rivestire dall’amore del Signore, è lasciarsi abbracciare dal Padre e accogliere la sua misericordia senza limiti.
Preghiera nel giorno del Signore

