Leggi le letture del giorno e il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Lettura
Salmo Responsoriale
Vangelo
Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Festa del Sacro Cuore di Gesù.
Matteo 11,25-30
Oggi la Chiesa celebra la festa del Sacro Cuore di Gesù. Pur essendo una memoria liturgica piuttosto recente, essa affonda le radici nel cuore stesso del cristianesimo. Il prefazio della liturgia, quasi a volercene mostrare il senso profondo, ci invita a contemplare il mistero dell’amore di Gesù: “Innalzato sulla croce, nel suo amore senza limiti donò la vita per noi, e dalla ferita del suo fianco effuse sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati dal Cuore del Salvatore, attingessero con gioia alla fonte perenne della salvezza”. La liturgia canta il cuore di Gesù come fonte della salvezza. Sì, da quel cuore di carne che ha versato il suo sangue sino all’ultima goccia di sangue, pur di tirarci fuori dalla schiavitù del maligno, da quel cuore continua ininterrottamente, lungo i secoli, a sgorgare l’amore, come da una fonte inesauribile. Questa memoria liturgica è un invito fatto a tutti noi perché rivolgiamo la nostra attenzione al mistero di quell’amore: un cuore di carne, non di pietra come tante volte sono i nostri. Dalla compassione e dalla commozione di quel cuore ha preso inizio la vita pubblica di Gesù. Scrive il Vangelo di Matteo che Gesù, andando per le città e i villaggi della Galilea, si commosse sulle folle che accorrevano a lui perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore. E si mise a radunarle e a curarle. L’evangelista Matteo, nel Vangelo che ci è stato annunciato, ci mostra fin dove giunge l’amore del Signore per i “piccoli” del suo gregge, cioè i poveri e gli umili che già il profeta Isaia aveva mostrato uniti nel rallegrarsi nel Signore: “Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele” (Is 29,19). Con Gesù questa gioia si realizza a pieno, perché il suo amore riempie la vita di ciascuno. Chi però si reputa “sapiente”, cioè sazio e non bisognoso del conforto e sostegno di Dio è escluso da questa gioia, non perché non è amato al Signore in ugual misura, ma perché si chiude in sé, refrattario al suo amore. Ed è questa sorgente inesauribile che ci permette di non vedere solo noi stessi, e ci rende capaci di guardare al fratello e alla sorella con lo stesso sguardo di Gesù, pieno di affetto e amicizia, come afferma Giovanni: “Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio… Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. L’apostolo con queste sue parole giunge alla comprensione più profonda di Dio che sia possibile per noi uomini, e che non proviene da sapienza o intelligenza. Ne coglie l’intima essenza, che la festa del S. Cuore vuole porre in evidenza. Conoscere Dio infatti non è una filosofia o una scienza, ma è innanzitutto amare come lui ama, cogliere nel proprio cuore l’organo che ci permette di dialogare con lui e di incontrarlo, assumendo sulle proprie fragili spalle il giogo che Gesù per primo si è caricato legandosi a noi, cioè il voler bene. Sì, è un giogo, perché ci tiene vincolati a lui e fra noi, ma allo stesso tempo è la chiave della nostra libertà, perché ci solleva dalla schiavitù del perdersi per sentieri individuali che non portano a nulla. Aggiogandoci al Signore sentiremo forse la fatica di sostenere il passo affaticato del povero o quello incerto dell’indeciso, ma allo stesso tempo saremo trascinati da lui che si fa carico dell’uno e dell’altro. Anche noi infatti conosciamo momenti di stanchezza e allora sarà il giogo soave dell’amicizia con Gesù a portarci oltre la tristezza e il pessimismo. Quante volte – potremmo cantare con l’antico inno del Dies irae - “quaerens me, sedisti lassus?” (“ti sei seduto stanco, per la fatica di rincorrermi?”). Il cuore di Gesù, il suo amore per noi, non conosce alcun limite, sino ad essere assolutamente incomprensibile alla logica della sapienza umana. Giovanni apostolo esprime bene l’illimitatezza di questo amore non meritato, ma ricevuto per grazia: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). Ecco il cuore che la liturgia di questo giorno ci mostra. E’ il cuore di Dio che attraverso Gesù non cessa di battere per noi e per l’intera umanità. E si potrebbe dire che egli non solo ci sostiene col suo giogo soave, ma addirittura riversa in noi il suo amore o, se vogliamo, ci dona il suo stesso cuore, come scrive l’apostolo Giovanni: “se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1Gv 4,12). Sì, far battere il proprio cuore all’unisono con quello del Signore ci rende perfetti, non perché senza difetti, ma “perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8).
Preghiera della santa croce

