Leggi le letture del giorno e il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Lettura
Salmo Responsoriale
Vangelo
Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
2 Timoteo 2,8-15. Il senso delle sofferenze dell’apostolo
Paolo esorta Timoteo ad essere forte, a non perdersi d’animo, a non abbandonarsi alla pusillanimità alla quale egli era inclinato (cf. 1,6-8.13ss.). La sorgente della sua forza è la “grazia che è in Cristo Gesù”. È dall’incontro con Gesù che deve continuamente trarre ispirazione e forza per il suo ministero. L’apostolo gli raccomanda di trasmettere il Vangelo che ha udito da lui alla presenza di molti testimoni e di affidarlo, a sua volta, a persone “fidate” perché lo trasmettano ad altri. È il senso della tradizione della Chiesa, che dona lo stesso Vangelo da una generazione all’altra. Una catena ininterrotta lega la fede di oggi alla predicazione degli apostoli e quindi a Gesù stesso. Non si tratta della trasmissione di verità astratte, ma della stessa vita con Gesù che diviene testimonianza di amore nella storia. Per questo Paolo ricorda a Timoteo, come aveva già fatto nella lettera precedente, ad essere “buon soldato di Gesù Cristo”, come egli stesso, suo maestro e modello, è stato. Deve anche sapere che la predicazione del Vangelo comporta disonori e disagi. La disposizione ad accettare ogni sofferenza è parte integrante della testimonianza del discepolo. Per questo deve comportarsi come un soldato che si dedica totalmente al servizio del Vangelo senza fare altre cose che possono distrarlo; o essere come un atleta che rispetta le regole della gara, senza immettersi in percorsi individuali al di fuori della tradizione della comunità; oppure essere come un contadino che non teme fatiche e sacrifici e dedica la sua vita per poter alla fine cogliere i frutti del suo lavoro. Il discepolo deve soprattutto accogliere nel cuore il mistero di Gesù Cristo risuscitato dai morti. La risurrezione di Gesù è il mistero centrale della fede cristiana e quindi deve essere centrale anche nella vita del discepolo. È questo il Vangelo che Paolo ha predicato ed è per questo che ora soffre incatenato nel carcere “come un malfattore”. Ma, aggiunge Paolo, “la Parola di Dio non è incatenata”. Essa è più forte delle catene e della stessa morte. Nessuna potenza umana può trattenerla (4,17). Anzi, la prova rafforza la predicazione e la testimonianza. Già nella prima prigionia Paolo scriveva: “In tal modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola” (Fil 1,14). Paolo sa che il “suo patire” è parte della vocazione apostolica. Lo è dei discepoli di ogni tempo: è la via di Gesù che i discepoli sono chiamati a seguire. Il martirio, ossia dare la propria vita per Gesù, è parte integrante del Vangelo. Per questo Paolo può cantare: “Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui risorgeremo”. Chi dà la sua vita per Cristo diviene coerede con lui della gloria. È tragico, invece, il destino di chi si separa da Cristo. Gesù stesso lo disse: “Chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,33). In ogni caso, aggiunge l’apostolo, è bene sapere che Gesù “rimane fedele”: non tradisce mai. È un avvertimento paterno che l’apostolo vuole donare ai credenti perché sappiano che Gesù, comunque, ci attende, come il padre della parabola attese il ritorno del figlio prodigo.
Preghiera per la Chiesa

