IV di Quaresima
IV di Quaresima
M Mons. Vincenzo Paglia
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Prima Lettura Gs 5,9a.10-12 | Allora il Signore disse a Giosuè: "Oggi ho allontanato da voi l'infamia dell'Egitto". Quel luogo si chiama Gàlgala fino ad oggi. Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.


Salmo Responsoriale

Dal Sal 33 (34)

R. Gustate e vedete com'è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. R.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. R.


Seconda Lettura 2Cor 5,17-21 | Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.


Vangelo Lc 15,1-3.11-32 |

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". Ed egli disse loro questa parabola:

Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati".

Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".


Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia

Gs 5,9a.10-12; Sal 34 (33); 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32 | Questa domenica, chiamata laetare (domeni­ca della letizia), è un invito a interrompere per un momento la severità del tempo quaresimale. Il colore viola, segno proprio di un tempo di penitenza, cede il passo al colore rosa, come a volerci far gustare in anticipo la gioia della Pasqua. La letizia che viene suggerita dalla Liturgia non promana certo dalla condizione in cui versa il mondo. E’ anzi difficile trovare i motivi per rallegrarsi di fronte ai conflitti che insanguinano tanti paesi, di fronte alla triste condizione di abbandono di tanti poveri, di tanti immigrati, di tanti anziani e bambini scartati ed anche alla crescita degli egoismi mentre una lunga crisi mette a dura prova la vita dei più deboli. Eppure la liturgia ci esorta a rallegrarci. Il motivo è l’avvicinarsi della Pasqua del Signore, quindi la certezza della sua vittoria definitiva sul peccato e sulla morte.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato mostra pubblicani e peccatori che accorrono attorno a Gesù. L’evangelista lo nota quasi compiaciuto: “si avvicinavano a Gesù… per ascoltarlo”. Finalmente veniva chi sapeva parlare al cuore, chi portava la speranza di un mondo nuovo. Per questo accorrevano allora per ascoltarlo: già condannati e senza scampo, scorgevano in quel maestro una speranza per il loro futuro. Al contrario, i farisei e gli scribi criticavano Gesù per il suo atteggiamento misericordioso e mormoravano contro di lui: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro". Per loro era uno scandalo frequentare e soprattutto stare a mensa con i peccatori. Ma la prossimità di Gesù ai peccatori, se per i farisei era uno scandalo, per quei peccatori era una buona notizia, era Vangelo. E lo è anche per noi, che possiamo oggi accorrere da Gesù ed essere accolti da lui, come avviene nella santa liturgia. Non è forse questo un convito di Gesù con noi, peccatori? Non conversa egli con noi quando si aprono le Sante Scritture? E non ci dona da mangiare il suo pane e da bere il suo calice? Sì, nella santa liturgia si realizzano ogni volta que­sti tre versetti del Vangelo di Luca: “tutti pubblicani e i peccatori si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo”. Gesù infatti ci accoglie e ci ammette alla sua presenza. E la liturgia, consapevole della nostra debolezza, si apre con il canto del “Signore pietà”, con l’invocazione della sua misericordia e della sua pietà per ciascuno di noi. Chi è pieno di se stesso, chi si lascia travolgere dal proprio orgoglio, chi vuole conservare le proprie ragioni, resta fuori della letizia e della gioia del Signore e si condanna a restare nel freddo e triste atteggiamento dei farisei.

Gesù nel raccontare la parabola che abbiamo ascoltato vuole mostrare che lui si comporta come il Padre che sta nei cieli. Egli, del resto, è venuto a compiere la volontà del Padre. E noi lo abbiamo sperimentato, come pure possiamo sperimentare la durezza del figlio maggiore. Gesù inizia la parabola con la richiesta del figlio minore al padre di avere la sua parte di eredità. Ottenutala, se ne va via di casa. La sua vita, inizialmente piena di soddisfazioni, viene poi colpita dalla violenza del­la carestia e dall'abbandono degli amici. E resta solo. Trova posto nel fare il guardiano di maiali. L'unico modo che trova per sopravvivere. E i maiali stanno meglio di lui: «Avrebbe voluto saziarsi con le carru­be che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava»(v. 16), nota tristemente l’evangelista. La sua vita è spezzata e gli è amaro ricordare i giorni in cui stava a casa di suo padre. Ma è proprio l’amarezza della vita in cui è caduto a farlo rientrare in se stesso: «Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!”. Di qui la decisione di tornare dal padre. “E’ il tempo del ritorno”, per quel figlio. E lo è anche per noi, come quotidianamente cantiamo nella preghiera della sera in questa Basilica. E’ il tempo del ritorno. E Dio sta in attesa, quasi impaziente. Quando il figlio «è ancora lontano», il padre «commosso gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia». Non sa ancora perché il figlio stia tornando, né cono­sce cosa gli dirà, ma non importa. Quel che conta è che quel figlio sta tornando. E gli va incontro. Esce per salvare il figlio perduto, come sottolinea papa Francesco.  Appena gli è vicino, non gli permette di dire nulla e gli getta le braccia al collo. Il cuore del figlio, a quell’abbraccio, si scioglie e così pure la sua lingua. Pronuncia poche parole. Ma il padre sembra neppure stia a sentirle e, dopo averlo fatto rivestire con abiti nuovi, con i calzari ai piedi e con l'anello al dito, ordina di fare immediatamente una grande festa. Il tempo del ritorno culmina in una festa straordinaria.

Il figlio maggiore però non capisce. Neppure vuole entrare nella sala della festa. Anzi, rivolge un rimprovero al padre: «lo ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi ave­ri con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Il padre risponde con dol­cezza a quel figlio dal cuore indurito: «Tu sei sempre con me». Tuttavia con fermezza ag­giunge: «Bisognava far festa». Il figlio maggiore stava sì a casa ma era lontano dal cuore del padre. Il suo cuore era ricolmo dell’orgoglio per i suoi presunti diritti. E resta fuori, solo. Non riesce a gioire per gli altri, neppure per il ritorno fratello “che era morto ed era tornato in vita”.

Care sorelle e cari fratelli, c’è una grazia del “tempo del ritorno”. Essa però richiede di essere consapevoli del proprio peccato, delle proprie debolezze, come fece quel figlio minore, e quindi di stendere la mano verso Dio. E il Signore ci ricopre di amore. E’ la grazia del ritorno per figlio minore: tornò al Padre e fu abbracciato, rivestito e con una grande festa. E’ la festa di questa santa liturgia che il Signore ha preparato per noi perché possiamo gustare la grandezza della sua misericordia e del suo amore per noi e assieme è la grazia della bellezza della fraternità che ci viene ancora una volta donata.