Atti 17,15.2–18,1 | Nella narrazione di Luca, dopo Gerusalemme e prima di Roma, Atene appare una città strategica per la predicazione del Vangelo. Era la capitale della cultura di quel tempo. Paolo vuole prima comprendere la cultura, i costumi, la sensibilità, la vita degli abitanti della città. Ed è singolare la notazione di Luca che lo ritrae come un qualsiasi turista che percorre le strade della città incuriosito di conoscere e vedere. L’audacia di Paolo, che con coraggio si presenta davanti ai sapienti di Atene, ci mostra che nessuna cultura è estranea al Vangelo. Anzi, gli areopaghi di oggi attendono discepoli che sappiano annunciare con sapienza e forza la salvezza che viene da Gesù. Il discorso di Paolo giustappone temi propriamente biblici con motivi più vicini alla filosofia greca. Il suo intento è far dialogare le due culture perché il Vangelo fermenti la cultura greca. Il suo richiamo all’altare al «Dio ignoto» è un inizio ben studiato. Paolo ci introduce con sapienza su come comunicare il Vangelo perché anche gli uomini di altre culture possano comprenderlo e quindi lasciarlo agire nei propri cuori e nella società. Non poteva comunque tacere il tema cruciale della risurrezione: è il senso della vita, la destinazione della storia umana e della creazione. L’Oltre del Vangelo. Quegli ateniesi che pure credevano nella immortalità dell’anima, non potevano però accettare che la “carne” – la “cenere” che noi siamo – fosse a tal punto amata da Dio da ricevere da lui il soffio pieno della risurrezione.
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Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Salmo Responsoriale
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