Atti 15,7-21 | Gli apostoli e i presbiteri si riunirono in assemblea comune a Gerusalemme. Nella narrazione, Luca fa capire la vivacità del dibattito di questa prima assemblea cristiana. Nel mezzo della “grande discussione” si alza Pietro per prendere la parola. L’apostolo, con la sua autorevolezza, e con franchezza, spiega che «fin dai tempi antichi», ossia fin dall’inizio – quindi prima ancora della conversione di Paolo – il Vangelo è rivolto a tutti gli uomini e non solo agli ebrei. E racconta il suo incontro con Cornelio, un centurione romano. L’apostolo racconta come lo Spirito Santo fosse sceso anche su Cornelio e la sua famiglia mostrando così di non fare «alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede». Pietro dava quindi ragione alla posizione di Paolo e Barnaba: solo la grazia, non il rispetto delle pratiche rituali, è causa di salvezza. Presero quindi la parola Paolo e Barnaba, i quali narrarono i preziosi frutti della loro missione tra i pagani. I miracoli avvenuti tra di loro grazie alla predicazione della Parola di Dio erano una chiara conferma e un segno evidente della forza del Vangelo: indicavano qual era la via che la Chiesa avrebbe dovuto seguire. Non fu tanto l’eloquenza o la rettitudine della dottrina a suscitare lo stupore dell’assemblea, quanto la narrazione degli straordinari frutti di conversione che erano seguiti alla predicazione di Paolo e Barnaba. Giacomo, al termine dell’assemblea, prendendo la parola e richiamandosi alle parole di Pietro, difese la legittimità della posizione di Paolo: è la fede nel Vangelo che salva, non la legge; è l’amore appassionato a far crescere la Chiesa come un’assemblea di persone unite non da regole esteriori e neppure da pratiche rituali, ma dalla fede nel Vangelo di Gesù che vuole la salvezza di tutti gli uomini a qualunque popolo e nazione appartengano.
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Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Salmo Responsoriale
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