Atti 7,51–8,1a | Con la lapidazione di Stefano inizia la storia dei martiri cristiani. Egli imita Gesù sino alla morte. Luca ne riporta le ultime parole che sono simili a quelle che Gesù pronunciò dalla croce: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» e ancora, mentre Stefano cade in ginocchio, anche per il lancio delle pietre, prega: «Signore, non imputare loro questo peccato». Stefano è il primo (il protomartire) di una lunghissima serie di martiri che nel secolo XX e nel XXI ha raggiunto numericamente il suo punto più alto nella storia della Chiesa. Il martire è chi non scende a patti con la logica di questo mondo; per questo ne è cacciato fuori con violenza. Accadde così anche a Gesù: non poté nascere a Betlemme e dovette andare fuori; andò a Nazareth e fu condotto sul precipizio per essere ucciso; e infine a Gerusalemme venne portato fuori dalle mura e crocifisso. Il martire è un testimone dell’amore del Vangelo sino all’estremo confine dell’amore, sino all’effusione del sangue. Stefano, seguendo l’esempio di Gesù, perdona quelli che lo stanno uccidendo. Per lui, come per Gesù, non ci sono nemici; prega anzi per i suoi persecutori perché si ravvedano e convertano il loro cuore. È facile e normale, per il mondo, odiare i nemici, o i presunti tali. Eppure ciò di cui il mondo ha bisogno è essere svuotato dell’enorme quantità di violenza e riempito di perdono e di amore. È il crocifisso che salva il mondo, non i crocifissori. E noi possiamo aggiungere che i tanti martiri di ogni tempo hanno salvato e continuano a salvare il mondo dalla distruzione. Paolo, che aveva assistito al martirio e lo aveva approvato sino a continuare la persecuzione contro i cristiani, è forse il primo ad essere toccato nel cuore dalla preghiera di Stefano.
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Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Salmo Responsoriale
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