Atti 5,34-42 | Gamaliele, un fariseo dai sentimenti buoni e stimato da tutti, si rende conto dell’ingiustizia che si sta perpetrando contro gli apostoli. E, nel mezzo della seduta, si alza in piedi e prende la parola per difenderli. Il suo discorso è saggio e pieno di sapienza religiosa: richiama i presenti a considerare che è Dio che guida le vicende della storia e non è opportuno mettersi contro di lui. Gamaliele non è spinto né da astuzia né da calcolo, tanto meno dall’invidia, che invece si era insinuata negli animi della maggior parte dei membri del sinedrio. Egli è un credente ebreo che sente la responsabilità di aiutare i suoi colleghi a vedere con occhi sapienti quel gruppo di seguaci di Gesù e a giudicarli con saggezza. Rivolge quindi ai sinedriti un discorso molto lineare: se l’opera di costoro non viene da Dio, presto finirà, ma se viene da Dio voi, opponendovi a loro, rischiate di mettervi contro Dio stesso. Il sinedrio, toccato dalla sapienza delle parole di Gamaliele, ne accettò il consiglio e lasciò andare gli apostoli, facendoli però prima fustigare e ordinando loro di non parlare più di Gesù. In verità, sembra accadere quanto già Pilato aveva fatto con Gesù quando disse: «Lo punirò e lo rimetterò in libertà» (Lc 23,16). In verità non potevano far tacere e tenere solo per loro stessi il Vangelo dell’amore di Gesù. Anzi uscirono lieti di aver potuto soffrire almeno un poco quel che aveva sofferto Gesù. Luca, con una nota finale che chiude questa narrazione, sottolinea che gli apostoli continuarono, ogni giorno, nel tempio e nelle case, ad annunciare che Gesù era il salvatore. E vedevano che la gente bisognosa riceveva con gioia il loro annuncio. La loro predicazione era davvero una buona notizia che dava conforto e speranza a coloro a cui si rivolgevano.
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Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Salmo Responsoriale
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