Atti 5,27-33 | Gli apostoli sono condotti nuovamente nel sinedrio davanti ai capi del popolo. Questa volta sono trascinati in tribunale non solo Pietro e Giovanni ma tutti gli apostoli. È l’intera Chiesa che viene accusata. Il rimprovero è riassunto nella disobbedienza all’ordine emanato dai capi del popolo di non predicare più il Vangelo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome?». Il sacerdote, che forse per qualche timore non nomina neppure il nome di Gesù, vuole tuttavia bloccare il cammino di crescita di quella comunità. In effetti si stava allargando la stima della gente per quel nuovo gruppo di credenti tanto che molti vi entravano a far parte. La risposta degli apostoli all’accusa fatta dal sinedrio è unanime e compatta. Luca lo sottolinea: «Pietro e gli apostoli» rispondono congiuntamente. E questa volta Pietro non sottopone al giudizio del sinedrio il problema se sia giusto obbedire agli uomini piuttosto che a Dio. Ma con grande nettezza e senza titubanza dice: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini». Potremmo dire che è l’intera comunità cristiana a esprimersi in quel modo davanti al sinedrio. In effetti, nella comunità cristiana è lo Spirito che guida e autorizza la comunicazione del Vangelo all’intera città. Le parole che Pietro pronuncia – e con lui tutti gli apostoli – sono il sunto del mistero della salvezza portata da Gesù a tutti gli uomini. Si sottolineano in questo passaggio l’innalzamento di Gesù alla destra di Dio e quindi il potere salvifico che egli ormai esercita per tutti, nessuno escluso. E di questo mistero della salvezza che è giunto sulla terra, essi, gli apostoli, sono testimoni a motivo dello Spirito Santo che è stato effuso nei loro cuori.
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Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Salmo Responsoriale
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