2 Corinzi 8,1-9 | Paolo sentiva il debito di riconoscenza per la comunità “madre” di Gerusalemme che stava attraversando un momento particolarmente difficile. Anche noi – con un salto di duemila anni –, dovremmo sentire un debito analogo di fronte al dramma che la terra di Gesù sta vivendo. In questi ultimi tempi la situazione si è aggravata in maniera pericolosissima. E chiede a noi una partecipazione effettiva. A partire dalla preghiera. Paolo aveva organizzato una colletta nelle comunità da lui fondate, mostrando così una giusta solidarietà delle altre comunità sia con quella di Gerusalemme sia con gli apostoli. La fraternità cristiana – come emerge nei “sommari” degli Atti degli Apostoli che descrivono la vita della comunità – era fatta anche della concretezza dell’aiuto vicendevole. Partecipare alla colletta, come era avvenuto per le comunità della Macedonia che erano piuttosto povere, significava partecipare a una grazia straordinaria perché l’amore verso chi ha bisogno arricchisce più coloro che danno che quelli che ricevono. Come del resto Gesù stesso aveva detto, secondo quanto lo stesso Paolo riporta agli anziani di Efeso: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). I macedoni avevano compreso il senso dell’amore evangelico: non diede-ro infatti solo le offerte, ma – come dice Paolo – «Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio» (v. 5). L’apostolo li presenta come un modello di solidarietà. Per i cristiani il comandamento dell’amore sgorga dall’esempio stesso di Gesù che «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». I discepoli debbono guardare il Signore perché si realizzi quello scambio di doni, che non lascia nessuno nell’indigenza.
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Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia
Salmo Responsoriale
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