Tanto splendore brilla sul giorno di Tutti i Santi che quello in cui si celebra la memoria dei defunti parrebbe una semplice replica. Nella tradizione popolare cattolica si legano talmente che i santi vanno a confondersi con i defunti e la visita ai cimiteri è la pratica tipica anche del primo di questi due giorni con cui comincia il mese di novembre.
La Chiesa invita i fedeli, tuttavia, a distinguere tra i santi e i defunti. I santi sono tutti coloro che “sono venuti alla fede”, divenendo così “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Il loro nome non è solo quello di chi è stato canonizzato e appare sui calendari liturgici, ma anche quello di ogni battezzato, morto e risorto con Cristo, da Lui redento. Santi sono i beati che il Signore porta in braccio e stringe al suo cuore: i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati per la giustizia, gli operatori di pace (cf. Mt 5,3-10).
La commemorazione dei defunti ha un legame stretto con la festa di Tutti i Santi: è, infatti, quel corpo morto – della cui mancanza pur mai ci si consola – che lascerà il testimone a quello bagnato di luce, fiorito di un’altra primavera, risorto con Cristo.
È l’amore che opera il miracolo della risurrezione. Per questo andiamo a versare lacrime di speranza sulle tombe dei nostri cari, “per tutti i fratelli e le sorelle che si sono addormentati nella speranza della risurrezione” (Canone II della Messa). Fiori di fede sono le nostre preghiere sulle tombe, capaci di rimuovere le pietre della disperazione e dell’oblio.
Sacrilegio è, pertanto, la guerra, in tutte le sue forme di violenza e di sterminio del corpo delle creature.
Che non dà modo a chi muore di ricevere l’olio profumato del sacramento dell’unzione con cui consegnare il proprio corpo alle membra del Risorto. Sacrilegio è ogni assassinio, e ancor più quello brutale su vittime di cui si fanno a pezzi o si abbandonano le spoglie, cosicché i congiunti non possano né ritrovarle né comporle nel rispetto di quella culla che – per ogni figlio di Dio – è la tomba. In questi ultimi anni di massacri di corpi umani condotti da parte di altri esseri umani ridotti però, come Caino, in stato di bestialità, i cronisti d’ufficio non parlano mai di anime dei morti, ma soltanto del numero dei loro corpi. Come se l’essere umano fosse solo un grumo di carne che, se fa comodo ai potenti, può essere usata, lacerata, strumentalizzata o derubricata dal mondo dei vivi, senza nemmeno chiedere scusa ai parenti. Come ne Le anime morte di Gogol, dove per “anime” si intendevano i corpi della servitù della gleba, più utili da morti che da vivi, presenti soltanto nei registri come un “bene” materiale su cui truffare utili profitti.
“Anime morte” senza che la comunità di tutti i santi possa commemorarli quest’oggi, nel giorno dedicato ai defunti.
Ma padre Gabriel Romanelli ha resistito a questo furto di sacra dignità. Insieme a due confratelli e cinque suore, al fianco dei superstiti mutilati o rifugiati a causa della Bestia della Morte, padre Romanelli non ha dimenticato di pregare ogni giorno per le anime di tutte quelle creature che a Gaza – nel peccato o nell’innocenza – sono salite al cielo per morte violenta. Ogni giorno tutta la comunità della Sacra Famiglia si è preoccupata di chiedere al Signore, con lacrime e suppliche, che per loro aprisse le porte del Paradiso. Uniamo alla loro la nostra preghiera per tutte le vittime delle guerre del mondo, perché contro la vita negata il Signore dia la Vita liberata: un “battesimo” di risurrezione per tutti gli espulsi dalla terra.
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