II di Pasqua
II di Pasqua
M Mons. Vincenzo Paglia
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Prima Lettura At 5,12-16 | Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.


Salmo Responsoriale

Dal Sal 117 (118)

R. Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.
Oppure:
R. R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre». R.
 
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo! R.
 
Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina. R.


Seconda Lettura Ap 1,9-11a.12-13.17-19 | Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: "Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa". Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: "Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito.


Vangelo Gv 20,19-31 | La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo". Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". Gli rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia

At 5,12-16; Sal 118 (117); Ap 1,9-11a.12-13.17-19; Gv 20,19-31 | In questa seconda domenica di Pasqua la Chiesa ci invita a celebrare la misericordia di Dio che nel mistero della Pasqua trova il suo culmine e la sua fonte. Il Vangelo che abbiamo ascoltato narra la prima e la seconda Pasqua, come a voler iniziare la scansione del tempo attraverso le domeniche che da allora sono giunte sino ad oggi. In ogni santa liturgia della domenica si realizza l’incontro con il Risorto: Gesù “viene e sta in mezzo” a loro. Viene, non “appare”. E’ la fisicità della presenza, nella santa liturgia, come nell’eucarestia. E le sue prime sono il saluto di pace: “Pace a voi”, come ad unire indissolubilmente la risurrezione e la pace. Non è un saluto scontato o semplicemente rituale. Gesù lo lega immediatamente alle ferite sul suo corpo, come nota l’evangelista: “detto questo mostrò loro le mani e il fianco”.  Non c’è Pasqua senza le ferite e, potremmo aggiungere per noi credenti, non ci sono ferite senza Pasqua, senza risurrezione. Oggi dovremmo elencare tra le tante ferite degli innumerevoli crocifissi. Dovremmo iniziare dalle guerre. In questa Basilica lo facciamo ogni mese nella preghiera per la pace, ricordandole per nome, una ad una, paese per paese, dall’Ucraina alla Terra santa, dall’Etiopia al Mozambico, dalla Nigeria al Sudan, dalla Colombia allo Yemen a tante altre.

Il Vangelo di Giovanni, dopo aver narrato la prima Pasqua, racconta quella successiva, nella quale è presente anche l’apostolo Tommaso incredulo al racconto della prima Pasqua. Non era un discepolo cattivo, era anzi generoso. Pochi giorni prima, quando si trattava di andare da Lazzaro, gravemente malato, a nome di tutti disse “andiamo a morire con lui”. Era però troppo sicuro di sé, delle sue convinzioni, tanto da rispondere agli altri che gli dicevano di aver visto il Signore risorto: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò» (v. 25). Anche noi, non siamo lontani da Tommaso, sicuri come siamo di noi stessi, delle nostre sensazioni. E’ quell’autoreferenzialità che non ci fa vedere oltre noi stessi e neppure ci fa commuovere sugli altri. Anche noi, come Tommaso, abbiamo bisogno di incontrare nuovamente il Signore, di ascoltarlo, di vederlo, di toccarlo e di vivere la Pasqua. Gesù stesso ci viene incontro, anche questa sera, per dirci: «Metti qua il tuo di­to e guarda le mie mani. Accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; smetti di essere in­credulo e diventa uomo di fede» (cfr.. v. 27).

Tomma­so, davanti a quel corpo ferito, proclama la sua fede: «Mio Signore e mio Dio!». E la professa in una maniera che mai nessuno aveva fatto sino ad allora, neppure Pietro. E Gesù, rivolgendosi a lui e a tutti coloro che si sarebbero aggiunti, anche a noi, aggiunge: «Perché mi hai veduto, hai cre­duto: beati quelli che pur non avendo visto crederan­no» (v. 29). E’ l'ultima beatitudi­ne del Vangelo. Ed è la nostra. Sì, la fede, dopo la Pasqua, nasce dall'ascolto della Parola di Dio e dal vedere e toccare le ferite degli uomini. E questa è la nostra gioia. E’ bella, piena di significato, l'antica leggenda che narra della mano destra di Tommaso rimasta, sino alla sua morte, rossa del sangue di Gesù. Per questo le mani della Chiesa e quelle dei discepoli di ogni tempo debbono essere sempre “rosse di sangue”. L’invito a Tommaso: “Metti qua il tuo dito!” è l’invito particolare di questa Pasqua: recarsi ovunque nel mondo per toccare i tanti feriti della vita. E’ l’invito a rendere larga, molto larga, la misericordia di Dio nel mondo. Ci è stata posta davanti l’immagine – riportata dagli Atti - di Pietro che cammina per le strade di Gerusalemme e tutti “portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle” perché almeno la sua ombra li coprisse. Sì, care sorelle e cari fratelli, oggi più che mai il Signore ci chiede di testimoniare con larga generosità la sua misericordia.