XXVII del tempo ordinario
XXVII del tempo ordinario
M Mons. Vincenzo Paglia
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Leggi le letture del giorno e il commento di Monsignor Vincenzo Paglia


Prima Lettura 


Salmo Responsoriale

 


Seconda Lettura 


Vangelo


Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia

Festa di san Francesco d’Assisi (†1226).

Ricordo della dedicazione della “cappellina” di Primavalle, primo luogo di preghiera della Comunità di Sant’Egidio nella periferia di Roma. Il 4 ottobre 1992 veniva firmato a Roma l’accordo di pace che poneva fine alla guerra in Mozambico. Preghiera per tutti gli operatori di pace.

Is 5,1-7; Sal 80(79); Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

la vigna di cui parla il Vangelo è il popolo di Israele. Il profeta Isaia – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura – riporta l’amarezza per la mancanza di frutti nonostante la cura dello stesso Signore: “Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica”. Questa vigna, oggi, care sorelle e cari fratelli, è certo il popolo cristiano, ma anche l’intera umanità, come ci suggerisce anche l’enciclica che papa Francesco ha da poche ore firmato nella Basilica di Assisi: “Fratelli tutti”. Tutti i popoli sono la vigna che il Signore stesso ha piantato e coltivato. E si potrebbe ripetere ancora oggi il lamento di Dio: quanta uva selvatica continua a crescere, pensiamo ai conflitti che continuano a insanguinare la vita dei popoli, alle disuguaglianze che si acuiscono invece di diminuire, ai poveri e ai deboli che la pandemia ha fatto crescere di numero e sui quali si è abbattuta ancor più gravemente. E proprio oggi, il 3 ottobre 2013, ricordiamo i 368 morti a Lampedusa, tragico simbolo della indifferenza per le migliaia di emigrati che sono continuati a morire nel mare.

Il profeta Isaia – nel canto della vigna - riporta l’angoscia stessa di Dio stesso: “Che cosa dovevo fare ancora nella mia vigna che non ho fatto? Perché mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica?”. Certo, più che il Signore dovrebbero essere le nostre società a porsela. E’ quel che chiese papa Francesco nel suo viaggio nell’isola. Il Signore, comunque, nella parabola narrataci dal Vangelo, non solo non diminuisce il suo amore per la vigna che produce frutti amari, anzi lo accresce. Dice Gesù che il padrone, “da ultimo”, dopo aver mandato servi e servi ancora, invia il suo stesso figlio, credendo che lo avrebbero rispettato. In verità, la sete di guadagno – prendere l’eredità - spinse quei vignaioli a uccidere quel figlio: lo afferrano, lo portano “fuori della vigna” e l’uccidono. Solo Gesù conosceva il senso di queste ultime parole, anche se Nicodemo aveva rivelato quanto fosse grande l’amore del Padre, che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.

Oggi queste parole le capiamo ancor più facendo memoria di Francesco di Assisi, uno degli operai che ha creduto al Figlio di Dio e ha coltivato la sua vigna perché portasse frutti buoni. Proprio in questa notte, tra il 3 e il 4 ottobre, più o meno in queste ore, Francesco, ormai moribondo - così raccontano le Fonti Francescane – fece chiamare attorno a sé i frati: “si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle quindi il libro dei Vangeli e chiese che leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: ‘Prima della festa di Pasqua…’. Si ricordava in quel momento della santissima cena, che il Signore aveva celebrato con i suoi discepoli per l’ultima volta e fece tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena”. Così narrano le Fonti. Non era una celebrazione liturgica, come questa che stiamo celebrando. Francesco, sino all’ultimo dei suoi giorni, voleva imitare il Signore alla lettera. Il brano del vangelo di Giovanni che veniva letto continuava “sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, amando i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. E Francesco ripeté alla lettera il gesto della cena.

Francesco lo contempliamo come un discepolo che ha obbedito alla lettera al Vangelo sino a identificarsi a Gesù. Con lui vicino, ci è più facile restare con Gesù: Francesco continua ad indicarci la via dell’ascolto fedele del Vangelo che gli aprì il cuore alla fraternità con tutti. Francesco lo leggeva, lo meditava, lo apprendeva anche a memoria, lo ripeteva agli altri nella lingua che la gente povera capiva, lo metteva in pratica alla lettera sin quasi a mimarlo, e ovunque andava non voleva comunicare altro che il Vangelo. La fedeltà a quelle parole aprì sempre più il suo cuore sino a renderlo largo come quello stesso di Gesù. Così avviene anche per noi se seguiamo la sua via. La storia della Comunità ce lo testimonia ampiamente, fin dal suo inizio: quanti cuori – a partire dai nostri - si sono aperti per aver ascoltato il Vangelo! Quanti si sono aggregati a questa nostra fraternità che non conosce alcun confine! E quanti fratelli e sorelle, prima chiusi e sordi perché ascoltavano solo se stessi, hanno ascoltato il grido dei poveri e dei deboli e sono corsi in loro aiuto, anche in questo tempo? Rendiamo grazie al Signore per la fraternità che ci ha dato e per la via che Francesco continua a mostrarci. E’ il Signore stesso, in realtà, che continua a mostrarcela ogni giorno, ogni volta e ovunque nel mondo apriamo il Vangelo, lo accogliamo nel cuore e cerchiamo di metterlo in pratica. E’ la via del cambiamento anche per i nostri giorni.

Preghiera con i santi