V di Pasqua
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Gv 15,1-8) - In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Al termine della lunga preghiera durante l’ultima cena Gesù chiese al Padre: “che siano una cosa sola, come noi”. Quel mistero di unità – l’amore del Padre e del Figlio - è il Vangelo, ossia la buona notizia che i discepoli debbono vivere e comunicare al mondo. E’ il Vangelo della fraternità universale, che nella Pasqua trova il suo inizio e il suo culmine. Nel 2025, anno giubilare, ricorderemo i 1700 anni dal Concilio di Nicea. Potrebbe essere il momento opportuno perché i cristiani decidano di celebrare assieme la Pasqua e non solo, ma anche ritessere con nuovo slancio i fili dell’unità dei cristiani perché la missione del Vangelo diventi profezia di unità anche tra i popoli secondo la bella espressione del patriarca Atenagora: “Chiese sorelle, popoli fratelli”.
Gesù, con l’immagine della vite e i tralci mostra la profezia dell’unità dei discepoli con lui. Questa immagine Gesù la consegnò ai discepoli nell’ultima cena, come un testamento. Era usata spesso dai profeti per descrivere il legame d’amore tra Dio e il suo popolo. Quella sera Gesù la interpreta in modo nuovo: la vite non è più il popolo di Israele, ma lui stesso: “Io sono la vera vite”. E subito aggiunse: “e voi siete i tralci”. I discepoli sono legati al Maestro come i tralci alla vite. E’ dal tronco che arriva la linfa ai tralci, e possono portare frutto. L’avvertimento di Gesù è semplice ma anche molto serio: “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me”.
La linfa che tiene in vita l’intera vite è l’amore di Gesù. Non il nostro. E’ la comunione tra il Padre e il Figlio alla quale siamo chiamati a partecipare. Per grazia, non certo per merito. A noi infatti è chiesto solo di accogliere questo amore o meglio, come suggerisce la pagina evangelica, di abitarlo. Per ben sei volte, in otto righe, Gesù ripete: “rimanete in me”, “chi rimane in me porta molto frutto”, “chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca” ed è come un residuo che viene gettato nel fuoco. Quella sera i discepoli non capirono; anzi, forse si sono chiesti: cosa vuol dire rimanere con lui visto che è lui che sta per andarsene. Gesù usò questa immagine perché rimanesse scolpita nella loro mente. Chi rimane ad ascoltare il Vangelo resta con Gesù e Gesù con lui. Nella tradizione orientale c’è una bella icona che la rappresenta. Al centro è dipinto il tronco della vite su cui è seduto Gesù con la Scrittura aperta. Dal tronco partono dodici rami su ognuno dei quali è seduto un apostolo, con la Scrittura aperta tra le mani. È l’icona della nuova comunità che ha origine da Gesù, la vera vite. Quel libro aperto nelle mani di Gesù è lo stesso che ha ciascun apostolo: è la vera linfa che permette di “non amare a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità”. Ed è anche il libro che sta in tutte le nostre comunità ovunque nel mondo. E’ la nostra vite, l’unica vite, con la molteplicità di tralci. E’ la Parola di Dio che tiene uniti.
L’unità dei discepoli è la nostra salvezza ed è l’unica forza per poter portare frutti. Possiamo essere piccoli o grandi tralci, quel che conta è accogliere la linfa e restare uniti. E’ la Parola di Dio che ci permette di portare frutto. Anzi è la precisa volontà di Dio, come Gesù ci ripete questa sera: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto”. Sono belle le parole di commento di Papia, uno dei Padri Apostolici, a questa pagina evangelica e possono legarle alla gioia della Pasqua che il Signore ci fa vivere: “Verranno giorni in cui nasceranno vigne, con diecimila viti ciascuna. Ogni vite avrà diecimila tralci ed ogni tralcio avrà diecimila pampini e ogni pampino diecimila grappoli. Ogni grappolo avrà diecimila acini, ed ogni acino spremuto darà una misura abbondante di vino”. E’ l’invito della Pasqua, della Pasqua di questo anno difficile segnato della pandemia e da innumerevoli conflitti e ingiustizie. C’è chi si ripiega e si rinchiude su se stesso. Per noi, care sorelle e fratelli, questa Pasqua è il tempo dei diecimila tralci e dei diecimila grappoli. Perché la gioia nostra e dei poveri sia piena.