Storia n° 4
Storia n° 4
M Mons. Vincenzo Paglia
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A  proposito della scelta degli amministratori di sostegno... una storia esemplare

Giovanni ha quasi 90 anni e una mente lucidissima. In particolare, una cosa ha chiara: che in istituto non ci vuole andare. Lo ripeteva a tutti anche per ripeterlo sempre a sé stesso. Certo il futuro lo preoccupava. Era in buona salute ma non aveva parenti, solo una gentile vicina di casa che gli faceva la spesa e altre commissioni. E che lui ricompensava sempre. La sua casa era molto ben organizzata ma al terzo piano senza ascensore era diventato faticoso per lui uscire. Un giorno una piccola buca nel cortile di casa gli fu fatale. Cadde e si fratturò il femore.

Iniziò così un percorso che aveva sempre temuto. La vicina che va a trovarlo gli confida le sue preoccupazioni per il rientro in casa: lei non avrebbe potuto aiutarlo più di quello che faceva. Parla anche con i medici e con l’assistente sociale dell’ospedale spiegando che lei può fare molto poco e poi c’è anche il problema della gestione della pensione, delle spese per la casa e tutto il resto e lui non ha nessuno. Per questo i servizi decidono di fare subito una richiesta di amministratore di sostegno. Non che Giovanni non fosse in grado di decidere come gestire i soldi e il suo futuro ma è un vecchio di 90 anni e la cosa più semplice, in assenza di un parente, sembra quella di affidarlo ad una figura istituzionale.

Intanto, superata la fase acuta, decidono anche di trasferirlo in un’altra struttura. Non proprio una riabilitazione perché si tratta di un anziano, andrà in un post acuzie riabilitativo: intensità di cure riabilitative più bassa. Così fa solo alcuni minuti di riabilitazione al giorno e poi trascorre il resto delle ore nel letto: nessuno lo alza. È facile immaginare quanto questa riabilitazione non lo aiuti a recuperare sensibilmente le sue capacità motorie.

Un giorno un medico della struttura si avvicina al suo letto e gli spiega che per lui era preferibile continuare le cure trasferendosi in un’altra struttura un po’ fuori Roma, ma molto buona, verso Velletri. Per il trasferimento avrebbe dovuto firmare il modulo che gli porgeva con insistenza: “ecco deve firmare qui”.

Giovanni esita, non capisce, vorrebbe parlare del suo futuro per preparare il rientro a casa, vorrebbe avere delle spiegazioni sulle sue condizioni di salute, chiedere perché ancora non cammina... e tante altre cose: insomma vorrebbe parlare con qualcuno. Ma il tempo per lui ormai è scaduto, il medico ha fretta e già ha iniziato a rivolgersi ad un altro paziente. Riesce solo a dire: ma io vorrei andare a casa. Il medico lo guarda con uno sguardo pietoso che lascia intendere che stesse come vaneggiando: “Ma certo però adesso deve stare qui”. Giovanni alla fine firma, senza sapere di che cosa si trattasse. Aveva dato il consenso per un trasferimento in una RSA. Dopo quella firma i mesi passano senza che nessuno gli spieghi più nulla. Aspetta di continuare le cure riabilitative ma ogni giorno per qualche motivo vengono rinviate. Un giorno si presenta vicino al suo letto uno sconosciuto: buongiorno sono l’avvocato Bianchi, sono stato nominato suo amministratore di sostegno. Mi occuperò della sua pensione e di quello che le occorre.

Giovanni inizia a intravedere una via d’uscita. “Bene io vorrei tornare a casa sono qui già da 5 mesi”. L’avvocato risponde senza spazio per repliche: “Ancora è presto per uscire, ne riparleremo. Intanto mi occuperò del pagamento della retta di questo istituto. Poi vedremo. Tornerò a trovarla quando mi sarà possibile perché qui è lontano da Roma.” Giovanni chiede di avere la disponibilità di una somma di denaro perché non ha nulla con sé e potrebbe servirgli qualcosa. La risposta dell’avvocato è ancora più lapidaria: “Ma che ci deve fare qui con i soldi non le manca niente, pensano a tutto loro.” Giovanni aspetta ancora qualcuno che gli spieghi per quale motivo deve stare lì dentro.