Negli ultimi 10 anni l’impiego di psicofarmaci nei bambini e negli adolescenti italiani risulta essere raddoppiato. Lo rileva il Rapporto OsMed 2024 sull’uso dei medicinali in Italia, realizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e presentato nei giorni scorsi a Roma. I farmaci per la salute mentale più prescritti sono soprattutto antipsicotici, antidepressivi e farmaci per l’Adhd. Le prescrizioni crescono all’aumentare dell’età, la fascia 12‐17 anni registra il livello di consumo più alto. Ne parliamo con Daniela Chieffo, direttrice dell’Unità operativa di Psicologia clinica presso l’Università Cattolica-Fondazione Policlinico Agostino Gemelli.
Professoressa Chieffo, per quale ragione si è verificato questo incremento nell’impiego di psicofarmaci su bambini e adolescenti?
L’uso di psicofarmaci nel nostro Paese è aumentato seguendo una tendenza già esistente negli Stati Uniti, determinata sicuramente da linee di indirizzo definite all’interno di società scientifiche. Il fatto che l’incremento coinvolga i più giovani potrebbe essere dovuto anche a indicatori di efficacia nei confronti di sintomi, che spesso comportano nell’età dello sviluppo un’alienazione esistenziale, un impatto sugli apprendimenti e sulle relazioni sociali. Nell’ambito del disagio giovanile rimane però la necessità di discutere l’importanza di percorsi psicoterapeutici personalizzati e di un lavoro che si svolga “in rete” con il sistema famigliare, la scuola e le équipe multidisciplinari. La terapia farmacologica allevia sintomi eloquenti, ma non è sufficiente per curare sofferenze che potrebbero avere radici diverse dalla neurobiologia.
Quali sono le conseguenze di questa “impennata”?
Questo orientamento potrebbe determinare un cambiamento nella visione della cura del disagio, trascurando nei fatti però l’essenza del sintomo, ovvero il significato profondo di quella manifestazione dolorosa che non dovrebbe avvolgere la personalità di un bambino, o di un adolescente.
Quali sono le patologie che maggiormente richiedono l’impiego di terapia farmacologica? Si tratta di malattie irreversibili?
Le patologie che richiedono un apporto farmacologico sono la sindrome ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), il disturbo di ansia generalizzato, i tratti ossessivo-compulsivi, i comportamenti di alienazione e di chiusura relazionale.Tutti profili che indubbiamente predispongono all’iperconnessione, alla dispersione scolastica e all’alterazione del ritmo sonno-veglia e della nutrizione. Sono quadri che con una cura integrata possono rientrare, soprattutto quando si tratta di un bambino, o di un adolescente, il cui funzionamento neurobiologico è ancora suscettibile di neuro plasticità.
Si parla sempre più spesso sui media di sindrome ADHD. I casi sono in aumento, oppure c’è una maggiore attenzione dal punto di vista della diagnostica?
Sono in aumento, ma verosimilmente meglio identificati. A volte si tratta di aspetti secondari rispetto a un funzionamento di plus dotazione. Negli ultimi anni si registrano anche molti adulti che chiedono un approfondimento medico, perché si riconoscono nel profilo ADHD.
Com’è lo stato di salute dei nostri giovani?
I nostri ragazzi negli ultimi anni hanno più consapevolezza della propria sofferenza, sperimentano momenti di grande solitudine e sono altamente sensibili. Provano sentimenti di angoscia profonda, che prima erano riscontrabili solo negli adulti. Il problema è che gli adolescenti non hanno ancora sviluppato un sistema immunitario emotivo come quello degli adulti, per questo si sentono spesso avvolti da un senso di incertezza e di incastro.
In quale modo possiamo prevenire il disagio psicologico e psichico?
Si deve promuovere la salute psicologica e psichica a partire dai primi anni di vita. Si deve favorire da parte degli adulti un ascolto autentico e profondo. I percorsi di psicoterapia e di intervento psicologico devono aprirsi alle moltitudini, non rivolgersi solo a pochi. La crescita dei nostri giovani deve essere accompagnata dalla famiglia e dalla scuola, e sostenuta da figure specializzate, come neuropsichiatri, psicologi e psichiatri. Non bisogna lasciarsi sopraffare dal timore di fallire, perché quando abbiamo un ragazzo, o un bambino, che soffre siamo noi tutti responsabili del suo dolore. Oggi, in un mondo che tende a concentrarsi sui risultati rapidi e sui trattamenti mirati, è importante ricordare che la vera essenza della cura risiede in una relazione che va oltre l’atto della prescrizione di un farmaco. Cura in generale, ancora di più nei bambini e negli adolescenti, è da intendersi come “pre-occupazione”, un atto teso a “proteggere”, “nutrire”, “mantenere”.

