C’è un filo sottile – e sempre meno scontato – che lega economia e vita interiore. Il Festival dell’Economia e della Spiritualità, che si è chiuso nei giorni scorsi, ha provato a riannodarlo, radunando voci diverse: sociologi come Ivana Pais, psicologi come Ugo Morelli, teologi, poeti come Franco Arminio, studiosi e operatori culturali. Una pluralità di sguardi chiamata a interrogare la domanda che Luigino Bruni, direttore scientifico del Festival, pone fin da subito: dove troviamo le risorse spirituali oggi per andare avanti?
Bruni – che con padre Guidalberto Bormolini ha dato vita la festival – lo dice con la nettezza che lo contraddistingue. “L’economia – osserva – non si sostiene solo su fattori finanziari, tecnologici o ambientali. Accanto a questi, la storia ha sempre riconosciuto l’esistenza di un ‘capitale spirituale’: quell’insieme di interiorità, fede popolare, immaginazione morale, persino poesia e pietà, che permette alle persone di affrontare fallimenti, lutti, crisi e di dare un senso alle fatiche quotidiane”. “Il miracolo economico italiano del dopoguerra – afferma – è stato possibile perché la gente aveva ideali forti: il socialismo, il comunismo, la fede cristiana. Sognavano un mondo migliore e lo costruivano, portando sulle spalle secoli di cultura spirituale”.
(Foto SIR)
Quel capitale, però, oggi si sta esaurendo. “Nel giro di due o tre generazioni – riflette Bruni – abbiamo consumato quasi tutto”.
“Abbiamo considerato la spiritualità come autoinganno o come un residuo inutile. Così ora ci manca la forza morale per reagire alle crisi”.
È questo, forse, il bilancio più lucido che emerge dal Festival: la constatazione che il benessere materiale non basta, e che la società contemporanea rischia di ritrovarsi impreparata davanti alle proprie fragilità.
“Se non troviamo nuove fondazioni spirituali – avverte – la prossima pandemia non sarà un virus, ma la depressione”.
Da qui la scelta, non priva di audacia, di accostare economia e spiritualità. “Non c’è nessuna contraddizione – spiega –, perché ogni economia nasce da uno spirito. Max Weber ce l’ha ricordato: il capitalismo europeo è figlio di un’ispirazione religiosa. Oggi quel riferimento non c’è più.
E il capitalismo tenta di diventare esso stesso una religione, con i suoi riti e le sue liturgie: basti pensare al Black Friday, la nuova ‘festa comandata’ che ha preso il posto dell’Avvento”.
Ma questo nuovo culto, aggiunge, “è troppo superficiale per reggere una vita di lavoro e di fatica”.
(Foto SIR)
Il Festival, allora, ha provato ad allargare lo sguardo. Perché la spiritualità non è un fatto ecclesiale, né un concetto riservato ai credenti.
“La spiritualità è una faccenda laica – insiste Bruni –: è poesia, letteratura, arte, interiorità. Se il mondo smette di coltivarla, tutto si riduce a un supermercato”.
“Non sappiamo più affrontare il dolore, non sappiamo più interpretare cultura e bellezza, non abbiamo categorie per farlo”. E il paradosso è che, in un mondo così impoverito, “dovrebbero essere gli atei a pregare per le vocazioni, perché la presenza di persone dedicate alla vita interiore è un bene comune per tutti, credenti e non credenti”.
È forse questo il contributo più originale del Festival: l’idea che la spiritualità sia un bene comune globale, indispensabile per la salute delle società, della democrazia, del lavoro e delle relazioni. Un bene che oggi va cercato anche fuori dai luoghi tradizionali della fede, negli spazi dove i giovani vivono, nelle nuove forme di socialità, nella creatività quotidiana.
Il percorso è appena iniziato. “Abbiamo solo cominciato a scavare – conclude Bruni –. Continueremo il prossimo anno e negli anni a venire”.
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