Durante la sua visita in Libano, nel 1997, san Giovanni Paolo II pronunciò una frase destinata a diventare emblematica: “Il Libano è più di un Paese, è un messaggio”. Quel viaggio apostolico assunse un significato profondo per il popolo libanese che stava uscendo da una brutale guerra civile durata 15 anni, dal 1975 al 1990. San Giovanni Paolo II sottolineò l’importanza della riconciliazione e della convivenza dopo una guerra che usò le differenze religiose per alimentare il conflitto. Anche Benedetto XVI, nel 2012, raggiunse il Paese in un’ora segnata da instabilità regionale, all’indomani delle primavere arabe e all’avvio della devastante guerra siriana.
(Foto Vatican Media/SIR)
L’attesa per Papa Leone XIV, che a breve giungerà in Libano come seconda tappa del suo primo viaggio apostolico, si inscrive nella scia di queste visite precedenti. Tre Papi nell’arco di trent’anni scelgono di visitare il Libano. Un piccolo Paese del Medio Oriente con una popolazione di quasi 6 milioni di abitanti, visitato tre volte dal Capo della Chiesa cattolica, il cui ruolo riveste grande potere e importanza sia a livello religioso che politico. La domanda che s’impone è duplice: perché il Libano conta così tanto per la Chiesa cattolica e quale senso assume oggi questo viaggio?
Il tratto comune che lega queste tre visite è, ancora una volta, l’incertezza e la tensione politica nel Paese e nella regione. Dal 2019 il Paese è precipitato in una crisi politico-istituzionale senza sbocchi; poi la pandemia, quindi l’esplosione del porto di Beirut del 2020 e infine le tensioni regionali che hanno devastato aree del Sud e della capitale Beirut fino al cessate il fuoco del 2024 con Israele. Questa instabilità e i continui ostacoli hanno portato a un’emigrazione senza precedenti, svuotando intere famiglie e spingendo i giovani a cercare istruzione e lavoro altrove. Il Papa arriva dunque con un messaggio chiaro rivolto ad una nazione che vive nella paura di un’altra guerra e nel mezzo di una perdurante crisi economica e sociale. Il Libano è orgoglioso della sua diversità religiosa e della valenza delle sue fedi che coesistono in questo piccolo territorio, per questo il Papa terrà un incontro interreligioso il 1° dicembre in Piazza dei Martiri a Beirut. Il Libano, inoltre, trae forza dai suoi giovani che il Papa incontrerà presso il cortile patriarcale maronita a Bkerke lo stesso giorno.
Il Libano non è dimenticato e il dolore del popolo libanese è ascoltato,
come testimonia la preghiera del Pontefice sul luogo dell’esplosione del porto di Beirut del 2020, il 2 dicembre.
Questa visita porta speranza ai giovani libanesi e conforto alle generazioni più anziane che hanno vissuto la guerra civile e vivono nella paura di una sua ricomparsa. Siamo una generazione cresciuta ascoltando le storie degli orrori della guerra civile e che ha sperimentato in prima persona le conseguenze della corruzione, delle esplosioni e dei conflitti.
I giovani libanesi di oggi sono esausti e scoraggiati, costretti a vivere nell’eterno dilemma di restare e cercare di costruire un futuro in un paese che si è dimostrato inaffidabile, oppure andarsene e scegliere di stare lontano dalla famiglia e dalla casa.
Questa visita non è riservata esclusivamente ai libanesi cristiani, come ha annunciato il presidente Joseph Aoun: “Il Papa viene in un Libano il cui popolo, dall’estremo nord al profondo sud, gli apre il cuore”. Oggi questa visita dà speranza al popolo libanese, che rimane diviso in fazioni politiche, mentre un divario economico crescente annienta la classe media e spinge sempre più famiglie nella povertà. La complessità della situazione rende difficile identificare le cause scatenanti della crisi attuale. Il caos in corso ha dimostrato che i nostri vecchi metodi non hanno mai funzionato. Vecchi metodi come i discorsi politici provocatori, l’emarginazione dei rifugiati e la mancanza di responsabilità da parte dell’élite corrotta continuano ad alimentare l’instabilità. I giovani sono consapevoli di questa realtà; i giovani di oggi sono immuni a questi discorsi e desiderosi di ottenere giustizia. Abbiamo tutti provato la sensazione di salire su quell’aereo e non sapere se e quando torneremo. Se il Libano sarà mai una casa per i nostri figli e se conoscerà mai la pace. Questa sensazione non conosce religione, perché siamo tutti uniti dal dolore.
Questa visita è una speranza per i giovani che non hanno mai veramente sperimentato la pace. Il Papa porta con sé ottimismo, forza e resilienza. Non è il nostro destino, come popolo mediorientale, provare dolore, le tragedie del Medio Oriente non devono essere normalizzate e le nostre voci continueranno a raggiungere coloro che contano, come il Papa ha dimostrato con questo viaggio apostolico. Con speranza ed entusiasmo, attendiamo questa visita e speriamo che il Libano continui a essere un messaggio di fede e resilienza.
* Daisy El Hajje è tra i giovani impegnati nell’opera segno “Mediterraneo frontiera di pace, educazione e riconciliazione” (Med), frutto dell’incontro di Bari “Mediterraneo frontiera di pace” (2020) che la Cei, in collaborazione con Caritas Italiana, ha affidato a Rondine Cittadella della Pace, finanziandolo con i fondi dell’8×1000. A Beirut la giovane libanese porta avanti il progetto “Corruption: enemy of freedom, peace and prosperity”, “Corruzione: nemica della libertà, della pace e della prosperità”.
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