Madre uccide figlia disabile a Corleone. Lo psicologo Piccolo: “Nessun genitore dovrebbe essere lasciato solo in un compito così pesante”

Scritto il 06/12/2025
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A Corleone un’anziana donna ha ucciso la figlia disabile per poi suicidarsi. Secondo una prima ricostruzione Lucia Pecoraro, 78 anni, avrebbe ucciso la figlia Giuseppina Milone di 47 anni, che aveva una forma di autismo, strangolandola con una corda con la quale si sarebbe poi impiccata. Mentre sono in corso le indagini dei carabinieri, in paese raccontano che otto mesi fa la donna aveva perduto il marito, trovandosi così a dover gestire da sola la figlia. La notizia è “a caldo” e richiede approfondimenti; tuttavia “non si tratta di un fatto isolato, ma di eventi purtroppo ricorrenti. La combinazione di madre anziana, figlia adulta con autismo e recente lutto configura una situazione ad alto rischio di collasso emotivo”, dice al Sir Marco Piccolo, psicologo a Cosenza.

Foto Marco PIccolo/SIR

Dottor Piccolo, quali sono le dinamiche psicologiche alla radice di un gesto così estremo?
Si tratta di un’accumulazione di sofferenza, la classica “goccia che fa traboccare il vaso”.

Il gesto estremo è l’esito di un lungo processo di accumulo di frustrazione, solitudine, depressione e disperazione.

Non nasce da un singolo evento (ad esempio una lite), ma dalla saturazione progressiva del carico emotivo e psicologico. La situazione di una madre anziana con figlia adulta autistica evidenzia una dinamica cronica che, senza adeguati sostegni, può all’improvviso precipitare.

Otto mesi fa questa donna aveva perduto il marito…
La recente vedovanza intensifica il peso psicologico del caregiver. La morte del coniuge “anticipa” la propria morte, causando isolamento e confronto con la propria mortalità, e facendo emerge il tema del “dopo di noi”. In età avanzata questo interrogativo diventa concreto e dirompente.

Senza una rete sociale di supporto, le sole risorse interiori (forza, amore materno o paterno, resilienza) possono non bastare più e portare ad un collasso emotivo.

Qual è il carico di un caregiver, in questo caso una madre, che si prende cura per decenni di una figlia con una disabilità psichica?
E’ un carico enorme, paragonabile a quello degli operatori professionali che, pur formati a questo, sono soggetti a burnout. Per i caregiver familiari, spesso non preparati professionalmente, gestire per anni ansie e difficoltà con strumenti limitati aumenta il rischio di esaurimento psicologico ed esiti tragici. Per questo l’idealizzazione dei genitori, la loro rappresentazione mediatica come “eroi” alla quale talvolta assistiamo, è fuorviante:

nessuna mamma e nessun papà dovrebbero essere lasciati solo in compiti così pesanti e prolungati nel tempo.

Serve un riconoscimento concreto del loro carico e una risposta sistemica.

Quali interventi pubblici sono necessari per tentare di prevenire tragedie come questa?

Occorre rafforzare la rete territoriale di prossimità.

Oltre a iniziative come lo psicologo scolastico e lo psicologo di base, bisogna potenziare i servizi sociali e sanitari territoriali, e le strutture diurne e di supporto. Le attuali carenze (centri di igiene mentale sovraffollati, personale insufficiente) impediscono risposte tempestive e continuative, lasciando le famiglie scoperte. Sono inoltre necessari gruppi di sostegno specifici per caregiver e genitori. La creazione di comunità di aiuto reciproco e la continuità di supporto sono imprescindibili per prevenire l’isolamento e alleggerire il carico emotivo, psicologico e pratico di caregiver e genitori.

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