33 anni fa la marcia dei 500 di don Tonino Bello a Sarajevo. Don Sacco: “Scegliere di non essere spettatori è possibile anche oggi”

Scritto il 12/12/2025
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Ricorre oggi, 12 dicembre, il 33° anniversario della Marcia per la pace di Sarajevo, guidata da don Tonino Bello, uno degli episodi più significativi e simbolici della sua testimonianza di vescovo e di uomo di pace. Durante l’assedio più lungo della storia contemporanea, quando la città era stretta dal fuoco dei cecchini e dalla paura, don Tonino, allora presidente di Pax Christi, decise di non limitarsi a lanciare appelli da lontano ma volle entrare dentro la città assediata. Riuscì a organizzare una delegazione di circa 500 pacifisti italiani, fra laici, religiosi, giovani, esponenti di associazioni e semplici cittadini.

Foto Calvarese/SIR

Giunti nei pressi della città a bordo di pullman, i partecipanti completarono l’ultimo tratto a piedi, entrando a Sarajevo sotto la neve e il rischio dei colpi dei cecchini. Portavano con sé solo una grande bandiera arcobaleno della pace, nessuna protezione, nessun altro “scudo” se non la nonviolenza. L’intento era chiaro: rompere l’indifferenza internazionale, mostrare solidarietà concreta alla popolazione bosniaca, e affermare che la pace è possibile solo “stando in mezzo al dolore”, come diceva don Tonino. Quel gesto divenne così un segno di fraternità, un atto di disobbedienza civile e morale che mise in luce la forza della nonviolenza cristiana. Don Tonino, già gravemente malato, parlò ai sarajevesi dicendo: “Voi non siete soli. Condividiamo il vostro calvario”. A ricordare quei giorni è oggi don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi, che di quella marcia fu testimone oculare e partecipante attivo.

Don Renato, qual è il ricordo più vivido di quel 12 dicembre?
I ricordi sono tanti. Dai rappresentanti delle varie religioni monoteiste incontrati, agli abbracci e ai disegni dei bambini. Ma, soprattutto, il tè caldo che ci hanno distribuito. Da mesi sotto le bombe e in condizioni di mancanza d’acqua hanno preparato un tè per 500.

Questi sono i segni del Vangelo, non storie astratte ma testimonianze di speranza viva, incontri concreti, corpi vicini per scaldarsi. La fede non è questione di spiritualismo. Tanti ci hanno criticati ma altrettanti ci hanno supportati, sia materialmente sia con la preghiera.

Mettere fisicamente il proprio corpo senz’armi in mezzo a una guerra, difficile immaginarlo oggi…
Don Tonino Bello che, insieme a noi, va nella capitale bosniaca a dire che la guerra è una follia è la grande attualità di quell’avvenimento insieme al suo improvvisato discorso sulla non violenza. “Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati!” aveva detto. Tradurre in pratica il ‘No’ alla guerra, dentro di essa e durante, è l’unica strada da percorrere per tutti i conflitti odierni.

Scegliere di non essere spettatori è possibile anche oggi.

Anche la guerra più assurda può essere fermata. Il fatto non casuale che quel giorno non sia caduta nessuna granata dimostra che si può sempre discutere e trattare e che la logica per arrestare una guerra non può essere la quantità di morti. In questi 33 anni abbiamo avuto la conferma che la strada della guerra è il suicidio dell’umanità ed è, purtroppo, la logica sempre più attuale scelta dai potenti in un’ottica di interessi e guadagno. Sempre e solo la logica delle armi e la cultura della guerra: nella guerra si entra e si spara, talvolta anche per divertimento. Davanti ai nostri zaini con dentro solo tonno e formaggio, persino i leader religiosi ci domandavano dove fossero le armi.

La vostra risposta?
La nostra risposta? Dire con il nostro corpo che eravamo lì per non lasciare sole le persone e per metterle al centro. Che meriti avevamo noi, in più di loro, per non essere toccati dalla guerra? La Marcia è stata un segno di interposizione che va mantenuto e coltivato. Il cardinale Martini diceva che intercedere non significa chiedere al Signore di intervenire ma metterci noi in gioco in prima persona. È questa l’eredità e la strada concreta della pace e della non violenza. Spendere il nostro tempo al servizio, non militare ma del prossimo. Di fronte al mondo di guerra in cui oggi siamo immersi tutti, chiederci non cosa possiamo guadagnarci ma come possiamo essere autori di passi concreti di pace.

“La guerra è come un treno – mi diceva una persona di Sarajevo anni dopo – quando parte non riesci né a fermarlo né a scendere”. Ecco, io vorrei fare di tutto invece per fermare questo treno sempre più veloce.

Che accadeva al vostro passaggio?
Le persone, nonostante la paura, scendevano in strada e si univano a voi. Prevaleva quindi il coraggio e la volontà di agire. Per loro era un sogno vederci. Ci aspettavano ma, come noi, non avevano scommesso sul nostro arrivo. Scendevano, tra cecchini e granate, magari solo per stringerci la mano e comunicavamo con lo sguardo. È la prova che siamo chiamati a realizzare i sogni, anche quando sembrano irrealizzabili.

Dobbiamo chiedere più coraggio alle nostre comunità e indicare loro una meta più grande.

Don Tonino Bello (Foto R. Sacco)

C’era la consapevolezza di entrare, con quel gesto, nella Storia?
No, noi facevamo quel che andava fatto, valutando insieme giorno per giorno ma con molta serenità e senza presunzioni. Il 10 era la giornata dei Diritti umani e lo scopo era celebrarli; il 12 un altro giorno. Abbiamo semplicemente messo un seme che un giorno fiorirà. Quel 12 dicembre non va mitizzato ma preso per quello che è. Gente che ha scelto di mettersi in gioco, come don Tonino che, malato terminale di cancro, reggeva la bandiera della pace. “Sarei venuto anche con le flebo nel braccio” aveva detto. Al tempo l’hanno riempito di critiche e cercato di fermare, oggi è in corso la causa di beatificazione.

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