Che significato ha oggi, per il Sud del mondo, dedicare una Giornata mondiale ai poveri? Come viene percepito dalle periferie del mondo impoverite, l’evento celebrato dalla Chiesa tramite un Giubileo a loro dedicato? Lo abbiamo chiesto ad alcuni missionari e missionarie in Africa, che quotidianamente scardinano gli stereotipi.
“Sono convinto che solo gli impoveriti di questo sistema iniquo salveranno l’altra metà del mondo”, afferma senza dubbi dallo slum di Deep Sea, in Kenya, fra Ettore Marangi. “Qui a Nairobi vorrei una volta almeno nella vita proporre un pellegrinaggio al contrario: dalla baraccopoli alla città dei ricchi! Perché sono i ricchi ad avere bisogno di Dio, gli impoveriti già ce l’hanno”. La nuova agenda politica la dovrebbero “dettare gli slum come sta succedendo con le popolazioni indigene brasiliane in questi giorni a Belèm. E come cerca di fare la Gen Z in Kenya”, dice provocatoriamente il francescano. Il suo è davvero uno sguardo capovolto: “Mi rendo conto che abbiamo paura di avvicinarli: i poveri ci spaventano, si evita il contatto, eppure bisognerebbe avere rapporti umani ‘non protetti’ tra chi ha tutto e chi non ha niente. Bisogna salvare i ricchi aiutandoli a vedere e a donare”. Fra Ettore sa che il problema è la mancata redistribuzione delle risorse: non è una questione di scarse ricchezze ma di concentrazione delle stesse. Nello slum ogni settimana propone la lettura popolare della Bibbia: “Le comunità che hanno pochissimo possiedono una cosa che noi tutti abbiamo perso: il desiderio”.
Non si tratta di avere speranza, dice, “cosa che per loro è molto concreta perché sanno che Dio salva”, ma proprio di desiderio. Secondo fra Ettore l’Occidente “nasce già vecchio e non desidera più niente”. Suor Elvira Tutolo, missionaria di Santa Giovanna Antida Thouret dal Centrafrica, chiama i poveri “i preferiti di Dio”.
Afferma che solo camminando insieme a queste comunità, come gli ex bambini soldato, “si toccano con mano i segni della preferenza di Dio per i poveri”. Tanti ragazzi tolti dalla strada e dal carcere, spiega, o usciti dalle bande armate, ritrovano un senso di pienezza di vita. “Io non ho bisogno di rileggere le pagine del vangelo per sapere che la resurrezione è concreta. Vedo persone passate dalla morte alla vita: è questa la resurrezione. È la preferenza di Dio in azione”. La Repubblica Centrafricana è una terra con tante risorse, ma la colonizzazione non è mai finita, ricorda suor Tutolo: “Per la Francia è rimasto sempre un serbatoio sicuro da cui poter attingere provocando direttamente o indirettamente ribellioni e colpi di Stato”.
Per i mercenari pagati è una fonte di guadagno certo. E tuttavia, se ha senso indire una Giornata mondiale dei poveri “è per non farne una bandiera da sventolare” e poi mettere via, avverte suor Paola Arosio delle Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Da Roma dove lavora con i migranti del Centro Astalli dice: “Se ci ricordassimo costantemente – e non solo un giorno all’anno – delle categorie marginalizzate – cambierebbe il nostro sguardo sulla giustizia. La Dilexit te di Papa Leone ci indica una postura da assumere: è l’enciclica per i poveri e con i poveri. Quando, ad esempio, scriviamo nuove leggi ci cambia lo sguardo se mettiamo i più fragili al centro”. Dal Benin, dove lavora con le bambine trafficate e rese schiave, la salesiana Johanna Denifl, spiega che “ci sono sistemi di potere e corruzione nella stessa Africa, creati da reti criminali. Noi suore stiamo dalla parte delle bambine tirandole fuori dalla schiavitù domestica”. Le ragazzine di Cotonou sono più che povere: “Vengono sfruttate senza essere pagate, in alcuni Paesi dell’Africa Occidentale la colonizzazione non è mai finita”, dice la salesiana.

