Il gioco di Dio. Lo sport come spazio teologico tra libertà, gioia e bellezza

Scritto il 22/11/2025
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Ma Dio gioca? La domanda, provocatoria e affascinante, attraversa “Il gioco di Dio. Elementi di teologia dello sport”, nuovo saggio di Daniele Pasquini e Melchor Sánchez de Toca Alameda (Ave Editrice, 2025). Un denso volumetto che, scorrendo agilmente in un caleidoscopio di immagini e pensieri, colloca lo sport all’interno di una cornice teologica come spazio di libertà, gioia e bellezza. Pasquini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport e socio fondatore dello Sport for Inclusion Network, e mons. Sánchez de Toca Alameda, per dieci anni responsabile dell’Ufficio sport presso il Pontificio Consiglio della cultura, attualmente relatore presso il Dicastero per le cause dei santi, partono da un’immagine potente:

un Dio che crea il mondo, e si diverte.

La creazione, spiegano, non è necessaria né utile, ma libera e gioiosa, proprio come il gioco e lo sport. La copertina stessa – il celebre mosaico bizantino del XII secolo nel duomo di Monreale raffigurante la creazione degli astri con un Dio che sembra giocare con il sole – ne è un manifesto. E in questa apparente “inutilità” dell’atto creativo si nasconde un significato profondo:

la glorificazione del Creatore attraverso la gioia della creatura.

Liturgia della libertà. Non si tratta dunque di una “teologia dello sport” in senso riduttivo, ma di un originale approccio teologico allo sport: un itinerario che parte dalla realtà sportiva per coglierne la corrispondenza con il progetto divino sull’uomo. A legittimare l’interesse della teologia è la celebre affermazione di un personaggio dell’autore latino Terenzio: “Sono uomo e nulla di umano mi è estraneo”. Eppure, lo sport, fondato su gioco, competizione, regole e corpo, è stato spesso snobbato da filosofi e teologi. Questo libretto colma la lacuna, restituendo al gioco la sua dignità spirituale:

esperienza gratuita e gioiosa, specchio della creazione divina.

Chiesa e sport: un rapporto complesso. Nell’antica Grecia i giochi panellenici intrecciavano competizione e religiosità. Il cristianesimo, da parte sua, ha avuto un rapporto ambivalente con lo sport, nonostante le metafore sportive utilizzate da san Paolo per descrivere la vita spirituale, e la stupenda rappresentazione di Cristo come pugile o atleta in un affresco nelle catacombe romane dei santi Marcellino e Pietro. Successivamente san Tommaso d’Aquino ne riconosce il valore per l’autodisciplina; san Filippo Neri e don Bosco lo impiegano per intercettare i giovani; san Pio X apre il Vaticano alla pratica sportiva; don Pino Puglisi lo porta nei quartieri difficili. E l’oratorio diventa così un laboratorio unico al mondo, dove fede, educazione e gioco si intrecciano; protagonista indiscusso il calcio.

Deus ludens, Homo ludens. Il nucleo teologico del saggio ruota intorno al concetto di Deus ludens di cui, ha ricordato Papa Leone XIV nell’omelia della messa per il Giubileo degli sportivi lo scorso 15 giugno, parlarono “arditamente” alcuni Padri della Chiesa. Un “giocare di Dio” che il teologo Jürgen Moltmann interpreta come segno di una creazione libera e gioiosa, come il gioco e la danza della Sapienza davanti a Dio in Proverbi 8.

Se, spiegano gli autori, fine della creazione è “la gloria di Dio”, questa si esprime nella gioia che la creatura mostra per il fatto di essere stata creata. Così

“gioia, gloria, libertà uniscono l’essere umano e il Creatore in un gioco divino”

e l’Homo ludens diventa riflesso del Deus ludens. Perfetta la sintesi del teologo britannico Lincoln Harvey:

Il culto celebra chi è Dio, lo sport celebra chi siamo noi”.

Cristo pugile/atleta – Foto Sánchez de Toca/SIR

Agonismo e regole. Nel saggio si parla anche di competizione e agonismo: vissuti in modo sano, stimolano a dare il meglio di sé. In questa cornice, la lotta di Giacobbe con l’angelo diventa metafora della tensione sportiva. Un accenno al motto olimpico “Citius, Altius, Fortius” arricchito nel 2021 con “Communiter” (Insieme). Quanto alle regole, non sono vincoli, ma spazi di libertà e identità.

Il corpo tra bellezza e inclusione. Protagonista dello sport è il corpo: tempio dello Spirito Santo, riflesso della bellezza di Dio che, nelle lingue latine, si intreccia con la bontà. Di qui la grazia del gesto atletico. Spazio anche allo sport paralimpico che mostra come pure la fragilità sia nobile e gloriosa, rivoluzionando la percezione della disabilità:

“anche il corpo ‘rotto’ diventa epifania del divino”.

Spiritualità e testimonianza. Come si esprime la spiritualità cristiana nello sport? Nell’integrazione di preghiera, disciplina, comunità e testimonianza. Per Pasquini e Sánchez de Toca non esiste uno sport “cristiano”, ma un modo cristiano di viverlo: correre per conquistare la “corona che non appassisce” (1Cor 9,25). Parafrasando San Paolo gli autori esortano: “Sia che corriate, saltiate o nuotiate… fate tutto a gloria di Dio”. La preghiera fatta con gambe e muscoli, assicurano,

“certamente farà sorridere il Signore”.

Concilio e futuro. Il libro si chiude con un richiamo al Concilio Vaticano II, di cui nel 2025 ricorre il 60° della chiusura. In Gaudium et spes si parla del dialogo tra ciò che i cristiani ricevono dal mondo e ciò che portano al mondo: schema applicabile anche allo sport. Pur non nascondendone aspetti problematici e distorsioni – corruzione, violenza, narcisismo, doping, eSport – questo volumetto mostra come lo sport autentico possa essere ancora spazio di bellezza, libertà e pienezza di vita. Nella prefazione, Giovanni Cesare Pagazzi, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, scrive che il libretto si muove con “gentilezza e pensieri agili”, restituendo allo sport la sua vocazione spirituale. Nella postfazione, Michele Gianola, sottosegretario della Cei e direttore ad interim dell’Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, sottolinea che parole come “meta, traguardo, talento, fatica, lotta, sconfitta, vittoria” raccontano anche l’avventura della vita spirituale, dove “il gioco di Dio, l’opera della salvezza”, ha per campo di battaglia “il cuore di ciascuno e la terra di tutti”.

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