Parkinson. Il peso silenzioso sulle spalle dei caregiver in uno studio su Neurological Sciences. “Urgente il riconoscimento del loro ruolo”
Scritto il 11/07/2025
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Un presidio silenzioso e insostituibile del nostro sistema di cura. Eppure su di loro grava un carico assistenziale tutt’altro che invisibile, troppo spesso sulle spalle delle donne, ancora una volta le più esposte e meno tutelate. Per questo, è necessario un cambiamento culturale e politico che riconosca chi si prende cura. E’ quanto emerge dallo studio Caregiver burden in Parkinson’s disease: a nationwide observational survey, il primo lavoro scientifico italiano sul carico assistenziale dei caregiver di pazienti con malattia di Parkinson, promosso dalla Fondazione Limpe per il Parkinson Ets e da Confederazione Parkinson Italia. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Neurological Sciences, è coordinata da Mario Zappia e Giulia Donzuso del Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e tecnologie avanzate dell’Università di Catania.
Il lato nascosto. Attraverso un questionario online anonimo, lo studio ha raccolto le testimonianze e i dati di 478 caregiver provenienti da tutto il territorio nazionale. Il profilo che emerge è chiaro e preoccupante: il 74% di chi si prende cura di una persona malata di Parkinson la assiste ogni giorno; il 15% ha lasciato il lavoro per fornire assistenza; solo il 14% riceve supporto economico; il 65% riporta effetti su salute fisica e psicologica. Le donne rappresentano il 75% dei caregiver, nella stragrande maggioranza hanno tra i 55 e i 70 anni, spesso partner conviventi della persona con Parkinson, chiamate a sostenere un carico crescente di responsabilità. Se nelle fasi iniziali della malattia l’assistenza può limitarsi a pochi giorni a settimana, con il tempo tre caregiver su quattro dichiarano di fornire supporto quotidiano, e oltre il 40% lo fa per l’intera giornata.
(Fondazione Limpe/SIR)
Impatto sulla vita personale e lavorativa. Il 15% degli intervistati ha dovuto abbandonare il lavoro per dedicarsi all’assistenza, una scelta che riguarda in particolare le donne. Chi mantiene l’impiego spesso perde giorni di lavoro ogni mese, senza disporre di adeguate facilitazioni. Anche sul piano economico le difficoltà sono diffuse: il 60% dei partecipanti segnala cambiamenti significativi nella propria situazione finanziaria, legati soprattutto alle spese per riabilitazione, assistenza domestica e spostamenti per cure mediche.
Solo una minima parte – appena il 14% – riceve un supporto economico concreto.
Pesanti effetti sulla salute. Anche sul fronte della salute il quadro è drammatico. Due caregiver su tre riferiscono conseguenze dirette sul proprio equilibrio fisico e psicologico:
Il 73% ha dovuto rinunciare ad attività personali, viaggi, hobby e relazioni sociali. E mentre oltre la metà si trova ad affrontare situazioni complesse nell’assistenza quotidiana, solo il 9% ha ricevuto una formazione specifica; il 40% esprime il desiderio di accedervi, anche per orientarsi tra aspetti legali e burocratici.
Urgente un cambio di passo. Alla luce di questi risultati, gli autori evidenziano l’urgenza di un cambio di passo.
Servono politiche pubbliche più coraggiose, che includano formazione, supporto psicologico, agevolazioni lavorative, assistenza domiciliare integrata e, soprattutto, un riconoscimento formale del ruolo essenziale che i caregiver svolgono nel sistema di cura.
(Fondazione Limpe/SIR)
“La nostra ricerca – spiega Mario Zappia – è un primo passo per restituire voce e dignità a migliaia di persone che ogni giorno, nell’ombra, sostengono i propri cari. Ora tocca alle istituzioni e alla società civile raccogliere questo appello e trasformarlo in azione concreta.”
Anche la Fondazione Limpe ribadisce per voce del suo presidente Michele Tinazzi la necessità di “riportare il ruolo dei caregiver al centro del dibattito pubblico”. L’obiettivo è chiaro: “trasformare i risultati dell’indagine in strumenti concreti di formazione, sostegno e riconoscimento”. Per Tinazzi “i caregiver sono un presidio silenzioso e insostituibile del nostro sistema di cura. È nostro dovere, come comunità scientifica e civile, riconoscerne il valore e garantire loro il supporto necessario”.
Perché chi si prende cura, non può essere lasciato solo.