La diatriba innestata in questi giorni su origini e significato della bandiera d’Europa apre spazi di dibattito, peraltro confinato ai pochi che vi si appassionano. La bandiera blu con le 12 stelle, adottata dal Consiglio d’Europa nel 1955 (dunque 70 anni fa) divenne poi, nel 1985, l’emblema dell’allora Comunità europea, oggi Ue. Vi sono poi versioni contrastanti sul significato – religioso o meno – del blu e delle 12 stelle. Lasciamo agli esperti le verifiche storico-simboliche.
Più aperto è il confronto, da varie voci alimentato, se esista ancora un’Europa unita. L’Unione europea raccoglie 450 milioni di cittadini di 27 Stati, i quali hanno sottoscritto trattati – e dunque impegni – cogenti. Chi fa parte dell’Ue si fa carico di rispettarne le regole ma, più ancora, è convinto che farne parte sia vantaggioso, utile e, a suo modo “profetico”. La “casa comune” nasce, e dovrebbe rimanere, un grande progetto di pace, di solidarietà, di convivenza di popoli e Stati per il bene comune. Un progetto aperto al mondo.
La storia recente sta mettendo alla prova questi fondamenti, mentre venti nazionalisti – e dunque antieuropei e antisolidali – spirano in tutto il continente. Ci sono oggi forti pulsioni contrarie all’integrazione europea; diversi partiti e leader, anche di governo, remano contro l’Ue; ampie fasce di popolazione e di elettorato si fanno trasportare da queste posizioni (spesso alimentate ad arte sui social, ormai divenuti la principale fonte di informazione, se così si può dire, di tante persone).
La fase storica è certamente tormentata: conflitti armati insanguinano il pianeta; i migranti vengono respinti o espulsi, come se non si trattasse di essere umani in cerca di una vita dignitosa; barriere economiche si elevano a scapito del mercato; neocolonialismi sfruttano le ricchezze di Paesi “in via di sviluppo”, che lo sviluppo non lo vedranno mai di questo passo. E si potrebbe continuare nel triste elenco: tra crisi demografica, disuguaglianze che si approfondiscono, cambiamenti climatici…
In questo quadro ci si chiede: l’Europa cosa fa? Come risponde alla guerra di Putin, ai dazi e alle minacce di Trump, alla tragedia di Gaza? Senza trascurare i problemi interni (disoccupazione giovanile e forti disparità sociali ed economiche tra una regione e l’altra; crisi degli alloggi e problema-casa; insicurezza diffusa; democrazie rese più fragili da governanti “illiberali” e da forze politiche estremiste…).
Ebbene, una ricetta univoca non esiste. Per ogni situazione sfidante occorrerebbe trovare la risposta più appropriata, concretamente realizzabile e orientata al futuro. Per questo servirebbe una visione larga sul domani dell’Europa, e dell’Europa nel mondo. Alcune scelte recenti – pur comprensibili sotto certi punti di vista – sembrerebbero portare da un’altra parte: si pensi alla corsa alle armi. Altre mancate decisioni segnalano peccati di omissioni: quali strategie per la natalità? E per contrastare il cambiamento climatico e proteggere il Creato?
Non tutto è perduto. Più volte si è dovuto riconoscere che l’Europa comunitaria, messa alle strette dalla storia, ha “inventato” risposte all’altezza. Questa volta il compito è più arduo: non basteranno, se anche dovessero giungere, illuminate decisioni politiche e istituzionali. Servirebbero un cambio di paradigma, una visione culturale e sociale aperta e lungimirante, cittadini che apprezzano il valore aggiunto dell’Europa unita. Nonché leadership politiche convinte e in grado di convincere che l’Ue – “comunità di valori” – può essere una risposta, non certo l’unica, a molti dei problemi attuali, sia interni che esterni all’Unione stessa.
“Europa, ritrova la tua anima”, è l’appello più volte risuonato dai pontefici che hanno accompagnato e incoraggiato la costruzione dell’Europa di pace. Ma bisogna anzitutto volerlo, per poi procedere con passi coerenti e coraggiosi.
Unità nella diversità: si può ancora sperare nell’Unione europea?
Scritto il 05/07/2025
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